L’imperatore Federico II, all’inizio del 1200, tentò un crudele esperimento sui neonati, per scoprire quale fosse la lingua primitiva. Racconta Salimbene da Parma (Cronica, par. 1664-1665) che a tal fine i bambini venivano nutriti e lavati, senza che nessuno potesse parlare loro, né cullarli, né cantare nenie, ma l’esperimento fallì miseramente, perché i piccoli, lungi dal manifestare una “lingua spontanea”, morivano tutti.
“Non di solo pane” non riguarda solo il detto evangelico, ma una verità profonda della nostra antropologia. Abbiamo certamente bisogno del “pane” (il cibo. le vesti, la pulizia, il calore), ma tutto questo non ci basta senza la relazione, senza l’accoglienza e la percezione dell’essere amati.
La verità di tali affermazioni discende dalla considerazione attenta della natura umana che viene dall’antropologia filosofica, e trova puntuale attestazione nei risultati della ricerca scientifica. Una conferma di questo dato giunge ad esempio da un corposo studio messo a punto dalla Commissione per i bambini a rischio creata dal Dartmouth Medical School (USA) e dall’Institute for American Values, che nel settembre del 2003 ha pubblicato un rapporto dal titolo accattivante e pressoché intraducibile: Hardwired to Connect. The New Scientific Case for Authoritative Communities.
Attraverso la terminologia informatica, l’espressione “hardwired to connect” indica che gli esseri umani sono “collegati per stabilire connessioni”, cioè strutturalmente “legati”, predisposti alla relazione con altri, al fine di interagire efficacemente con il prossimo, comunicando attraverso tutti i canali a disposizione. Un canale primario è rappresentato dal contatto fisico tra madre e bambino.