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Abuna Mario, l’esperienza di un sacerdote italiano in Terra Santa

22/10/2012 / Redazione / Blog, Terra Santa
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Dalla prima pagina del Servizio informazione religiosa
TERRA SANTA
Costruttore di ponti
Abuna Mario, l’esperienza di un sacerdote italiano in Terra Santa
Nativo di Sansepolcro, una volta ordinato sacerdote, non poteva che avere la Terra Santa come meta del suo servizio pastorale. “Da Sansepolcro al Santo Sepolcro” scherza, ma non troppo, don Mario Cornioli, prete di 41 anni della diocesi di Fiesole. Dal 2009, infatti, si trova a Gerusalemme, per servire nel Patriarcato Latino, su espressa richiesta del patriarca Fouad Twal, ben accolta dal vescovo di Fiesole, mons. Mario Meini, che, ricorda il sacerdote, “mi ha lasciato partire affinché proseguissi nel mio compito di tessere contatti e costruire ponti non solo tra la Chiesa madre di Gerusalemme e Fiesole ma anche con tutte le parrocchie e le diocesi italiane”.Daniele Rocchi, per il Sir, ha incontrato “abuna Mario” (padre Mario), come lo chiamano i suoi fedeli di Bejt Jalla (Territori palestinesi) dove ha scelto di abitare, a Sansepolcro in occasione della visita (20-21 ottobre) del patriarca Twal per la celebrazione del millenario della città.Terra Santa nel destino. La storia di abuna Mario comincia nel 2002, quando nella sua diocesi di Fiesole, gemellata con la TerraSanta, viene ordinato sacerdote dall’allora vescovo, mons. Luciano Giovannetti. Inviato, successivamente, a Montevarchi, si accorge che anche questa città ha un gemellaggio con la città natale di Gesù. “Mi sono in poco tempo ritrovato ad avere a che fare con due realtà gemellate con Betlemme. Gli inizi del mio ministero sacerdotale – racconta il sacerdote – furono così segnati da questi fatti e da diverse visite in Terra Santa. Viaggiando nei Luoghi santi mi sono reso conto che lì non ci sono solo chiese, santuari, frati e suore, ma anche delle comunità ecclesiali, le cosiddette ‘pietre vive’, che soffrono”. La spinta decisiva a “spendermi per la Terra Santa e ad ascoltare il suo grido di dolore” arriva dai legami nati tra giovani betlemiti e i loro coetanei fiesolani e di Montevarchi. Nascono così la collaborazione con la Fondazione Giovanni Paolo II, della diocesi di Fiesole, “per la quale mi occupavo di microprogetti di solidarietà” e l’incontro con il Patriarcato latino di Gerusalemme e le sue parrocchie nei Territori Occupati Palestinesi. “Il mio impegno – spiega don Cornioli – era quello di costruire ponti e legami tra la mia diocesi e Betlemme per poi allargare anche ad altre realtà ecclesiali fiesolane e locali”. Da Fiesole a Gerusalemme il passo è breve: nel 2009, come detto, il patriarca latino Twal lo chiama nella Città santa e da allora don Mario diventa “abuna Mario” con la missione “di tessere contatti e costruire ponti tra la Chiesa madre di Gerusalemme e le parrocchie e diocesi italiane” non più solo Fiesole.

Al di là del muro. Abuna Mario, ogni mattina esce dal seminario di Beit Jala, nei Territori Occupati palestinesi, dove ha scelto di abitare per condividere “almeno parte della sofferenza e la fatica dei palestinesi”, per recarsi a Gerusalemme, dove ha sede il Patriarcato latino. Attraversa il muro israeliano che circonda Betlemme, “non senza qualche problema di attesa, ma nulla in confronto a ciò che devono sopportare gli abitanti locali”, e va ad incontrare tutti quei gruppi e pellegrini che durante tutto l’anno arrivano in Terra Santa e che chiedono di incontrare le comunità cristiane locali. “Ma non sono una guida – si affretta a dire – mi adopero per far incontrare i pellegrini, ma anche gruppi, movimenti e associazioni interessati a lavorare con noi, con i rappresentanti delle chiese locali e promuovere in tal modo conoscenza e solidarietà. Il patriarca Twal è solito incontrare molti dei pellegrinaggi che arrivano e questo mi offre la possibilità di gettare la basi per futuri contatti e collaborazioni. Ci sono poi anche diocesi, parrocchie e gruppi che vogliono conoscere direttamente le nostre comunità ed allora cerco di organizzare momenti di incontro e celebrazioni”. Alla luce di questa esperienza pastorale, abuna Mario è certo che “le chiese italiane sono quelle tra le più impegnate e coinvolte con la Terra Santa. La Cei – dichiara – ci è di grande sostegno e conforto, materiale e spirituale e con essa le chiese locali, da sempre sensibili all’aiuto delle pietre vive dei Luoghi Santi. Ringrazio la mia diocesi che mi ha donato alla chiesa madre di Gerusalemme, spero che anche altre diocesi possano mandare i loro sacerdoti a prestare servizio in questa Chiesa. La Terra Santa ha bisogno di essere sostenuta, aiutata, stretta com’è tra muri e conflitti. Ha bisogno di ponti e di dialogo”.

La fede contagiosa. Dopo tre anni abuna Mario è “felice di servire la Chiesa patriarcale di Gerusalemme, dove sono stato ben accolto e dove ho tanti amici confratelli e laici. Ci sono tanti giovani sacerdoti in Terra Santa che ogni giorno affrontano dure prove per poter svolgere il loro servizio, impediti spesso a raggiungere Gerusalemme, le loro comunità, privati di permesso per spostarsi. Li vedi come affrontano quotidianamente la vita e vieni edificato dalla loro fede e dalla loro gioia contagiose. Nonostante le difficoltà, le fatiche mi sento un privilegiato a servire nella Terra delle origini della fede. E questa cosa la sento ancor più profondamente adesso che siamo nell’Anno della Fede. Ringrazio Dio per avermi dato questa possibilità e spero che tanti vescovi portino i loro sacerdoti in Terrasanta, non solo in pellegrinaggio ma anche per far vivere loro una esperienza di incontro e di condivisione con i nostri sacerdoti e le piccole comunità cristiane che tentano di sopravvivere. Sarebbe un dono per tutta la Chiesa, diocesana ed universale”.

 

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