Nella prima pagine del numero 42 de La Voce di Arezzo-Cortona-Sansepolcro, il fascicolo diocesano di Toscana Oggi, il riquadro centrale è titolato “Un cancro chiamato corruzione”. All’interno il servizio sulla presentazione dell’Atlante della corruzione (Abele Edizioni).
Proponiamo anche ai navigatori del sito la versione integrale dell’articolo.
«Non voltiamo le spalle alla questione morale»
di Serena Padrini
Si sono ritrovati per un pomeriggio nella sala della massima assise provinciale. Associazioni, società civile e istituzioni aretine. Nel luogo per eccellenza “della politica”, per parlare del suo “cancro”. Un male che, giorno dopo giorno, penetra all’interno, minandone la credibilità e creando danni che possono costare anche vite umane.
“Corruzione, conoscere per capire”, questo il titolo del confronto. A fare da spunto l’Atlante della corruzione (Gruppo Abele Edizioni), il lavoro realizzato da Alberto Vannucci, docente di Scienze politiche presso l’Università degli Studi di Pisa ed esperto in materia. Un’iniziativa voluta dalla Provincia di Arezzo e dell’associazionismo locale: Arci, Acli e Libera.
Il testo di Vannucci ripercorre, in maniera fluida e chiara, l’entità di un fenomeno, la corruzione, che troppo spesso resta misterioso e “mirabilmente oscuro”, come lo definiva già Dante nel XXI canto dell’Inferno della Divina Commedia. “Atlante della corruzione” richiama, sin dal titolo, l’idea di una mappa per orientarsi in una viziosità (stortura, male) ormai diffusa, non solo nei piani alti della politica, ma anche in basso, tra la gente, tanto da diventare sistematica.
«Ciò che deve preoccupare non è solo la vastità della corruzione, ma la sua accettazione passiva». In altre parole, afferma Vannucci: «È dall’immoralità diffusa che scaturisce la propensione alla corruzione».
«All’inizio della mia carriera, pensavo bastassero buone leggi, buone pratiche per arginare il fenomeno. Poi, ho maturato una prospettiva diversa: la vera battaglia alla corruzione si combatte nella società. Occorre andare più a fondo, spezzando una certa tendenza all’assuefazione, alla freddezza di fronte a comportamenti contrari al Bene comune».
«La differenza tra l’Italia e tanti altri Paesi sta nel fatto che qui, la corruzione, è stata resa sistematica e anomala. Questo è accaduto per diverse ragioni:
- la depenalizzazione dei reati per corruzione e concussione, che negli ultimi anni ha aumentato l’attrattiva, la razionalità, la convenienza di certe azioni (si guadagna molto e si rischia poco);
- la sindrome di impunità che ne deriva;
- una certa debolezza sul fronte dei valori morali e civili. Troppo spesso il nostro paese è stato la terra di “baronie”, di raccomandazioni e del “familismo”. Troppo spesso, l’interesse di pochi è stato anteposto a quello generale. Si è arrivati così alla situazione paradossale per cui, l’immoralità è diventata la normalità e certi comportamenti non ci fanno nemmeno più indignare. Ancora peggio, in molti finiscono per scegliere la stessa strada, perché “tanto gli altri fanno lo stesso”;
- a tutto ciò, si aggiunge la presenza della criminalità organizzata, della mafia e dei sui metodi violenti».
Questa l’analisi condotta dal professore, che ha poi sottolineato: «Occorre uno sforzo dal basso, che coinvolga i giovani, il nostro futuro. Per modificare i meccanismi, che hanno portato la corruzione ad essere così radicata, non dobbiamo attendere solamente l’intervento dall’alto, del legislatore. Non si può più delegare. I fattori che spingono verso il malcostume, fortunatamente, non sono inscritti nel dna. I valori culturali si possono cambiare, o recuperare». Poi, aggiunge Vannucci: «Esistono casi virtuosi anche in Italia, come le piccole amministrazioni con operatori onesti, tentativi di trasparenza come “La Carta di Pisa”, un codice etico per enti e amministratori locali, e interventi di mobilitazione dal basso come quelli portati avanti dall’associazione Libera».
Da qui occorre ripartire, senza esitare. Anche perché il prezzo nel frattempo continua a crescere, rendendo il fenomeno a tratti devastante. Vittime anonime che pagano a loro insaputa, su cui ricadono i costi degli errori altrui. «La linea ad alta velocità è costata ai cittadini italiani il 600 per cento in più rispetto ai giapponesi», spiega Vannucci, citando i dati raccolti nel suo stesso libro. E poi ci sono le vittime con nome e cognome: «Pazienti deceduti per valvole cardiache difettose. Case abusive, costruite senza controllo che hanno ceduto alla prima scossa di terremoto. Operai caduti sul lavoro per precarie condizioni di sicurezza. È dimostrato che, le Regioni con un più elevato tasso di corruzione, registrano anche un numero maggiore di morti bianche».
I numeri presentati nell’Atlante collocano l’Italia in fondo alle classifiche sulla legalità. E alta è la percezione della corruzione italiana all’estero, tanto da frenare gli investitori stranieri.
Ma i numeri non dicono sempre tutto. «Le statistiche, a volte, ci forniscono risultati distorti: nel 1996 il numero di condanne per reati di corruzione e concussione era di 1.714, nel 2008 è sceso a 295. Non illudiamoci – ironizza il professore – è frutto del cambiamento di legislazione, e non certo in positivo; è stato abolito il falso in bilancio, e paradossalmente sono diminuite le pene per i corruttori mentre sono aumentate quelle per i corrotti. Ciò spinge ancora di più a nascondere certi movimenti, a modellare ed affinare nuovi strumenti. Non più pagamenti in denaro, ma creazioni di Onlus, dove gli euro possono circolare liberamente. Ma soprattutto, spinge a non denunciare i tentativi di corruzione».
Corrotti e corruttori hanno interesse ad operare in silenzio. Il corrotto non denuncerà mai il corruttore, non è come un furto d’auto. Perché denunciare quando fila tutto liscio? Perché dire di no? È qui che si gioca la questione centrale, è qui che si gioca il risveglio morale di un Paese.
Da rivedere on line
“La vera malattia italiana? La corruzione”. TSD Notizie del 15 novembre 2012