Betania è conosciuta ai più come una delle località citate dai Vangeli: in questa cittadina alle porte di Gerusalemme viveva infatti Lazzaro, insieme alle due sorelle Marta e Maria. Oggi però questo sobborgo della Città Santa, nei Territori occupati palestinesi, fa notizia per altri motivi, certo meno felici: sono ormai settimane che il monastero greco ortodosso di Betania subisce numerose aggressioni: lanci di pietre, vetri infranti, furti e saccheggi delle proprietà del monastero che configurano una vera e propria strategia intimidatoria. Così le suore della casa religiosa hanno deciso di fare appello, con una lettera, direttamente al presidente palestinese Mahmud Abbas, perchè prenda provvedimenti adeguati contro l’escalation di aggressioni. “Non escludiamo” ha scritto la madre superiora suor Ibraxia nella sua lettera ad Abbas “che dietro questi attacchi ci sia chi desidera fomentare discordia tra i figli della stessa nazione palestinese”.
Fonti locali riferiscono all’Agenzia Fides che negli ultimi giorni famiglie della zona, sia cristiane che musulmane, hanno fatto visita al monastero in segno di solidarietà, per ribadire che la popolazione di Betania è estranea all’aggressione. “Qualcuno vuole mandarci via” ha scritto suor Ibraxia nella sua lettera “ma noi non fuggiremo”.
In passato il monastero greco-ortodosso rappresentava un’oasi di spiritualità nella città che oggi porta il nome arabo di al-Azariyeh. In tempi recenti, tutta l’area ha subito un processo di decadimento fatto di urbanizzazione sregolata, inquinamento ambientale, aumento della delinquenza. L’erezione del muro di separazione tra Israele e Territori Palestinesi ha deteriorato ulteriormente la situazione. Il monastero ora si trova in un’area dove l’Autorità palestinese non riesce a esercitare un controllo stabile, una “terra di nessuno” dove dilagano il crimine, il sopruso e la corruzione.
Negli ultimi mesi, mentre si continua a registrare un aumento vertiginoso dei prezzo dei terreni dell’area, quelli appartenenti al monastero erano stati in parte sottratti al controllo delle suore ad opera di un clan familiare musulmano locale che ne reclama arbitrariamente il diritto di proprietà.