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Padre Dall’Oglio, quelle parole di pace a La Verna

30/07/2013 / Redazione / Blog, Notizie, Terra Santa
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La notizia è stata battuta per prima dall’agenzia Reuters: il gesuita padre Paolo Dall’Oglio è stato rapito in Siria da un gruppo islamista filo Al Qaeda. La notizia non è stata confermata dalla Santa Sede. Di certo c’è che si sono perse le tracce del religioso da diverse ore. Nel 2010, Dall’Oglio era stato protagonista di uno storico incontro a La Verna. Nell’occasione Toscana Oggi lo aveva intervistato. Riproponiamo l’articolo, con la speranza che Dall’Oglio, uomo di pace e dialogo, torni in piena libertà il prima possibile.

 

“Il dialogo islamo-cristiano non solo è possibile ma è doveroso e magnificamente fruttuoso”. Sta tutto racchiuso in queste poche semplici parole il senso di una vita spesa a servizio della fratellanza fra i popoli, il senso di una missione che non è né utopia né fantasia, ma pura incarnazione del messaggio evangelico. Una sfida portata avanti da anni da Padre Paolo Dall’Oglio, il gesuita fondatore della comunità monastica Mar Musa in Siria, puntando tutto sulla costruzione di ponti tra il mondo aramaico dei cristiani e quello degli arabo-musulmani. La stessa sfida che, 790 anni fa, portò Francesco d’Assisi di fronte al sultano d’Egitto, Malik al-Kalim e che ha condotto padre Dall’Oglio a ripetere in questi giorni il medesimo gesto sul sacro monte de La Verna, grazie all’associazione “Cultura della pace” e alla Diocesi di Arezzo-Cortona-Sansepolcro, assieme a Elzir Ezzedin segretario Ucoi, l’Unione delle comunità ed organizzazioni islamiche in Italia.
“A prescindere dalle cattive notizie che giornalmente la stampa registra e che fanno soffrire i credenti cristiani come i musulmani – spiega il gesuita – il dato preminente è e rimane che cristiani e musulmani hanno imparato a convivere secoli fa e continuano a farlo. La Siria ne è un esempio e questo ‘buon vicinato’ di credenti è stato rafforzato dal Concilio Vaticano II che ha spinto i cattolici a guardare ai Musulmani con un occhio nuovo, un occhio di fede che sa discernere l’attività e la presenza dello Spirito Santo attivo nei cuori sinceri dei fedeli dell’Isalm. Uno sguardo sincero che ci consente di costruire una sorta di profetica comunione”.

La realtà però è spesso diversa. A Rosarno come a Milano al dialogo si è sostituita la violenza tra fazioni di immigrati e di italiani o tra immigrati di diverse nazionalità. Che idea si è fatto di queste vicende?

dalloglio“Gli uomini sono rissosi e gli italiani non sono migliori. Le persone che vengono a vivere in Italia, questi nostri fratelli, non rappresentano le élite culturali delle loro società di provenienza. Sono persone in uno stato di bisogno economico e che provengono da situazioni di disagio. Persone che arrivano in Italia per cercare benessere e che entrano nel nostro paese dalla ‘porta di servizio’, nei quartieri più difficili, più emarginati. Forse la società italiana non si è preparata per tempo all’accoglienza e all’integrazione di questi gruppi di persone. Questo provoca delle ‘febbri’ sociali che poi si esprimono in questi tristi episodi. Nel caso della Calabria è stato, in particolar modo, l’elemento razziale a prendere il sopravvento. Sono situazioni tragiche da prendere molto sul serio. La nostra società d’altra parte in questo momento è completamente avvolta dalla violenza a partire proprio dal sud Italia, passando per la politica e per lo stesso sport, dove si può arrivare anche ad ammazzarsi per una partita di pallone”.

Quale può essere il ruolo delle nostre parrocchie?

“La Chiesa deve avere il compito di indicare il principio del rispetto della persona. Non si può far passare il ragionamento per cui quando si ha bisogno di manodopera facciamo arrivare queste persone da noi, facendoli lavorare alle nostre condizioni, dimenticando i loro diritti e poi alla prima crisi economica li rimandiamo a casa. Il Vangelo in questo senso è molto chiaro, non si può discriminare tra persona umana e persona umana e noi, in quanto cristiani, abbiamo il dovere dell’accoglienza e del rispetto. Le nostre parrocchie possono essere degli spazi in cui si elabora una “convinzione popolare”, una maturazione di base per cui l’ospitalità non è un ‘eroismo raro’ ma una vera e propria scelta morale che richiede coraggio, generosità, realismo e un impegno di carità” .

La Svizzera solo pochi mesi fa, con un referendum, ha scelto di dire “no” alla costruzione di nuovi minareti sul proprio territorio. Perchè secondo lei c’è questa chiusura così diffusa nei confronti dell’ “altro”?

“Perché l’Islam è l’’altro’ per eccellenza. Un ‘altro’ radicale, che rispetto ad altri gruppi umani diventa più difficile da ‘assimilare’. Un ‘altro’ che mangia diverso, si veste diverso, fa festa in un giorno della settimana diverso dal nostro. Una comunità nel vero senso della parola che pone forti interrogativi a chi è abituato ad una società fortemente monoculturale, monocolore come la nostra. Eravamo abituati a dividerci unicamente tra religiosi e laici, credenti e non credenti. Ci siamo svegliati una mattina e ci siamo accorti della presenza di una realtà diversa, con una propria gerarchia di valori, dei propri principi morali. Di fronte a ciò abbiamo due strade: o diciamo che tutto questo non ci piace, scegliendo di ragionare per scompartimenti separati, scegliendo un mondo da ‘separati in casa’, oppure possiamo decidere con saggezza che è arrivato il tempo di vivere assieme, accettando il fatto che la società del futuro sarà in ogni caso interculturale e interreligiosa”.

PER APPROFONDIRE:

  • Chi è Padre Paolo Dall’Oglio
  • Paolo Dall’Oglio: “Assad cadrà, ma le ferite della Siria sono profonde”
  • “Cercavano me”: Paolo Dall’Oglio e l’irruzione nel monastero di Deir Mar Musa

 

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