Con un ulteriore incontro con il premier israeliano Benjamin Netanyahu a Gerusalemme, durato quasi cinque ore, si è conclusa ieri la decima missione del Segretario di Stato Usa John Kerry in Medio Oriente dalla ripresa dei negoziati israelo-palestinesi, lo scorso luglio. In conferenza stampa, Kerry ha comunque annunciato che la sua visita proseguirà oggi in Arabia Saudita e Giordania per discutere degli ultimi sviluppi nel processo di pace con i rispettivi sovrani, Abdullah e Abdallah II.
Presto però, addirittura entro la fine di gennaio, il capo della diplomazia Usa potrebbe intraprendere l’ennesima visita nella regione, l’undicesima della serie. E’ quanto ha lasciato intendere Saeb Erekat, il capo negoziatore dell’Autorità Nazionale Palestinese, dopo il colloquio di Kerry con il presidente della stessa Anp, Mahmoud Abbas, alias Abu Mazen.
“Nessuno beneficerebbe più dei palestinesi di un successo negli sforzi del segretario Kerry – ha sottolineato Erekat – e nessuno più dei palestinesi avrebbe da perdere da un fallimento”.

Il Segretario di stato Usa Kerry con il premier israeliano Netanyahu
Ma cosa è emerso da questa decima visita? Kerry si è detto come sempre fiducioso. Di diverso parere invece il ministro degli esteri israeliano Avigdor Lieberman, che ha dichiarato: “Non mi faccio illusioni: la strada verso un accordo è ancora lunga e difficile“. Israele ha infatti rigettato le proposte americane sulla contesa Valle del Giordano, per assicurare la sicurezza nella zona. Il rifiuto è stato comunicato dal ministro delle Relazioni internazionali Youval Steinitz, vicino al premier Netanyahu: “La sicurezza deve rimanere nelle nostre mani – ha dichiarato. – Chi propone una soluzione tendente al dispiegamento di una forza internazionale, di agenti di polizia palestinesi e di mezzi tecnologici non comprende nulla del Medio Oriente” ha detto Steinitz. A inizio settimana una commissione della Knesset, il parlamento israeliano, ha approvato una bozza di legge che permette l’annessione immediata della Valle del Giordano ad Israele.
Secondo Lieberman, fra israeliani e palestinesi non sarà possibile raggiungere un accordo stabile senza lo “scambio di terreni e di popolazione“. A suo parere, Israele dovrebbe poter annettere parte delle colonie in Cisgiordania e cedere al futuro Stato palestinese alcune zone di Israele popolate da arabi. Il governo di Tel Aviv mira infatti a conservare il pieno controllo sui nuovi quartieri costruiti a Gerusalemme Est e sui gruppi di colonie ebraiche più importanti in Cisgiordania. In cambio, è pronto a cedere larghi settori del cosiddetto “triangolo”, la regione più densamente popolata da arabi nel territorio israeliano, attorno alla cittadina di Um el-Fahm, situata all’interno dei confini precedenti le conquiste della guerra del 1967. La proposta è dettata dal desiderio di Israele di essere riconosciuto come “stato ebraico”. Una richiesta giudicata “legittima” anche dal liberale Ari Shavit, scrittore e commentatore per il quotidiano israeliano Ha’aretz, intervistato dal Corriere della Sera. “So di essere non convenzionale. Ma io sono un fermo sostenitore di questa richiesta avanzata dal nostro governo. Anzi, penso sia stato un errore non averla presentata ad Yasser Arafat già ai tempi dei negoziati di Oslo nel 1993” ha dichiarato Shavit, che tuttavia giudica “profondamente illiberale” il principio dello scambio di popolazione e territori tra Israele e Palestina: “Uno Stato democratico non decide sulla nazionalità dei propri cittadini. Non abbiamo il diritto di tagliare via arbitrariamente decine di migliaia di palestinesi con le loro terre.”

Il Segretario di Stato Usa Kerry con il presidente dell’Anp Mahmoud Abbas
Nel pomeriggio di venerdì, recandosi a Ramallah per incontrare Abu Mazen, Kerry è stato accolto per strada da una manifestazione di protesta. Ben poco è trapelato del tanto atteso “accordo quadro” che gli Usa hanno proposto alle due parti. E’ noto che preveda un percorso a tappe, con relative scadenze da qui ad aprile, sulle principali tematiche: le frontiere del futuro Stato palestinese, la sicurezza dello Stato israeliano, lo status di Gerusalemme.
Appena prima di ripartire da Tel Aviv, Kerry ha detto che gli Stati Uniti hanno proposto ad israeliani e palestinesi un accordo equilibrato ed onesto, aggiungendo che lui e il presidente Barack Obama sono determinati ad elaborare soluzioni “che accrescano la sicurezza di tutti gli abitanti della Regione”.
Intanto proseguono le tensioni sul confine tra Israele e Striscia di Gaza. Come riporta l’agenzia Afp, un ragazzo palestinese di 16 anni è morto ieri mattina in seguito alle ferite provocate da colpi di arma da fuoco israeliani riportate ieri presso il confine, in un incidente con militari dello Stato ebraico. Lo riferiscono i media israeliani, precisando che l’esercito individuato “alcuni sospetti intenti a danneggiare la barriera di sicurezza”. “Dopo averli messi in guardia, i soldati hanno aperto il fuoco ferendo un giovane palestinese”, che è poi morto ieri mattina.
Sulla questione Iraq, John Kerry ha dichiarato che gli Stati Uniti sosterranno il governo nel combattere i militanti legati ad al-Qaeda che hanno preso il controllo di città occidentali del Paese, ma non invieranno truppe in quella che è “la loro battaglia”. Lo ha dichiarato prima di lasciare Gerusalemme. Lo Stato islamico dell’Iraq e del Levante (Isil) ha preso il controllo di Fallujah e Ramadi, capoluogo della provincia di Anbar e città che fu roccaforte degli insorti sunniti durante la guerra condotta dagli Usa. I militanti hanno ripreso entrambe le città durante la scorsa settimana, respingendo gli interventi delle forze governative. L’Isil è anche una delle più forti fazioni ribelli coinvolte nella guerra in Siria.
Ieri ha rivendicato il controllo dell’attentato suicida a Beirut, in Libano, in un quartiere roccaforte del gruppo sciita Hezbollah. Kerry si è detto “molto, molto preoccupato”, definendo l’Isil “il più pericoloso attore nella regione”. Ha spiegato: “Resteremo a fianco del governo dell’Iraq e degli altri che respingeranno questi sforzi di destabilizzazione. Faremo tutto quanto possibile, non entrerò nei dettagli”. Tuttavia, ha precisato, “non stiamo valutando di mettere piede sul terreno. Questa è la loro battaglia.”