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Terra Santa, i vescovi del mondo: “Giustizia nella valle di Cremisan”

28/01/2014 / Redazione / Blog, Notizie, Terra Santa
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Un appello affinché “sia fatta giustizia nella valle di Cremisan, vicino Betlemme” è stato lanciato oggi dall’Holy Land Coordination (Hlc), il Coordinamento che raccoglie vescovi di Usa, Ue, Canada e Sudafrica, alla vigilia del pronunciamento della Suprema Corte israeliana, che dovrà decidere sul proseguimento del tracciato del muro di sicurezza israeliano sul terreno di 58 famiglie palestinesi di Beit Jala. Un progetto che, secondo i vescovi, “deve essere abbandonato”. “Riconosciamo il diritto dello Stato di Israele alla sicurezza ed a confini sicuri” scrivono i vescovi nel loro appello, pervenuto all’agenzia Sir. “Tuttavia, il tracciato del muro di sicurezza si discosta nettamente dalla Linea Verde, la linea di demarcazione internazionalmente riconosciuta, che separa Israele e i territori palestinesi conquistati nella Guerra dei Sei Giorni del 1967. Più di tre quarti del percorso pianificato del muro – si legge nel testo – cadono al di fuori della Linea Verde. E’ illegale secondo il parere della Corte internazionale di giustizia ed è una flagrante violazione della Convenzione di Ginevra e della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani.”

I vescovi esortano i loro governi “ad incoraggiare Israele perché segua il diritto internazionale e rispetti le condizioni di vita di queste famiglie e perché la popolazione di Beit Jala sia protetta da ulteriori espropri di terra e di case da parte di Israele”. La preoccupazione dei presuli del Coordinamento è che “questo muro di sicurezza serva più a consolidare gli insediamenti e a staccare definitivamente Betlemme da Gerusalemme“. Nel testo i vescovi ricordano il loro recente viaggio a Cremisan e l’incontro con molte famiglie di Beit Jala: “Abbiamo sentito il loro dolore e la loro angoscia. Il muro di sicurezza distruggerà vigneti, oliveti e frutteti e li separerà dalle loro terre. Le nostre preghiere sono per la gente di Beit Jala che cerca giustizia e per tutti coloro che cercano una pace giusta in Terra Santa.”

“Lottiamo per una giusta causa, la nostra terra, la nostra vita qui, la nostra dignità, il nostro futuro. Ma il mondo resta inerme davanti alle azioni di Israele. Per questo abbiamo chiesto a Dio di donare forza al nostro impegno per una pace giusta che garantisca il futuro della nostra comunità”. A parlare è Padre Ibrahim Shomali, parroco di Beit Jala. La barriera di sicurezza israeliana servirà a collegare le colonie ebraiche di Gilo e Har Gilo, che circondano il villaggio. Il passaggio della barriera taglierà di fatto in due le terre di Cremisan, con effetti devastanti per la debole economia locale. A repentaglio, oltre alle terre, anche posti di lavoro e scuole, quelle delle religiose salesiane. A Cremisan, infatti, dal 1885 esistono un monastero salesiano, oltre a una scuola elementare ed un asilo per 400 studenti. La cantina vinicola collegata al monastero, con le sue 220mila bottiglie l’anno, offre lavoro a venti operai di fede cristiana di Beit Jala. Il percorso del muro lascerà la scuola in territorio palestinese, mentre monastero e vineria finiranno in terra israeliana. Per impedire la costruzione del muro, gli abitanti di Beit Jala hanno intrapreso, sin dal 2006, un’azione legale che avrà il suo epilogo domani, il 29 gennaio, quando si pronuncerà la Corte suprema israeliana.

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Il parroco di Beit Jala padre Ibrahim Shomali celebra la messa sotto gli ulivi

Il parroco di Beit Jala padre Ibrahim Shomali celebra la messa sotto gli ulivi

“Se il muro verrà autorizzato perderemo circa 2000 dunam (un dunam equivale a un km²). Siamo stanchi e la speranza sta venendo meno” dichiara all’inviato del Sir Daniele Rocchi il parroco, che dal 1° ottobre del 2011, raduna la sua comunità su questi uliveti, a rischio esproprio, per celebrare, ogni venerdì, una messa perché, aggiunge, “la nostra terra abbia giustizia. Dalle nostre terre non ce ne andremo mai“.

Gli abitanti di Beit Jala non sono soli in questa lotta. Con loro anche il Patriarcato latino di Gerusalemme, i frati della Custodia di Terra Santa, i Salesiani, gli Ordinari cattolici di Terra Santa ed anche diplomatici ed ambasciatori di tanti Paesi, molti dei quali hanno partecipato, lo scorso 24 gennaio, all’ultima messa tra gli ulivi di Cremisan. Ma tanta solidarietà potrebbe non bastare, per cambiare le sorti della valle. “Serve fare pressione politica, che si parli di questa vicenda, a vari livelli” dice il parroco. Mercoledì a conoscere il verdetto della Corte ci sarà anche il vescovo ausiliare di Gerusalemme, monsignor William Shomali: “Difficile fare previsioni sulla decisione che verrà presa – dice il vescovo – soprattutto perché la questione riguarda, secondo quanto affermato da Israele, la sicurezza nazionale. Da parte nostra, il sostegno di tanti Paesi ci fa sperare che qualcosa di buono possa accadere”.

“Non ci confischeranno solo gli ulivi: – racconta Grace Abomuhor, uno dei 58 proprietari che rischia di perdere la terra – con i nostri alberi sradicheranno la nostra storia. Siamo davanti ad una tragedia che non è solo economica”. “Queste che ci appartengono – spiega Riad Abomuhor, cugino di Grace – sono terre ereditate dai nostri avi. Sono la nostra storia e non esiste nessun compenso che ci possa ripagare. E’ una questione di diritto e di dignità“. “I nostri abitanti dipendono da queste terre: – afferma il sindaco di Beit Jala, Nael Salman – una volta che saranno confiscate per costruire il muro, la nostra città non avrà più nessuna possibilità di svilupparsi in maniera sostenibile. Una sentenza negativa da parte della Corte Suprema sarebbe per noi un disastro. Perderemmo posti di lavoro e tante aziende chiuderanno. Se vogliono costruire un muro, lo facciano nella loro terra e non nella nostra”.

Il rischio che il villaggio di Beit Jala si spopoli a causa del muro è reale. Oggi sulle terre appartenenti al governatorato di Betlemme sorgono 27 colonie israeliane. Dagli anni ’60 in poi, secondo cifre fornite dall’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina), Israele ha illegalmente confiscato oltre 22mila dunam di terra, di cui 18mila annessi a Gerusalemme, altri 4mila presi per costruire il muro. Beit Jala ha perso circa il 70% delle proprie terre per permettere la costruzione delle colonie di Gilo e Har Gilo. Una volta che il muro sarà costruito su Cremisan, la metà degli uliveti appartenenti alle famiglie di Beit Jala si troverà in territorio israeliano. A quel punto, conclude il parroco, “non ci sarà più futuro per noi, le famiglie saranno costrette ad emigrare. Noi continueremo a pregare e chiedere aiuto al mondo, sperando di essere ascoltati.”

Fonte: Agenzia Sir

 

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