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Papa Francesco: “Domandate pace per Gerusalemme”

27/05/2014 / Redazione / Blog, Notizie, Papa Francesco, Terra Santa
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(foto Reuters)

Si è concluso ieri, lunedì 26 maggio, il breve ma intenso pellegrinaggio di Papa Francesco in Terra Santa. L’ultimo giorno, a Gerusalemme, è stato all’insegna del confronto, dell’amicizia, della condivisione e dell’esortazione alla pace.

LA VISITA AL GRAN MUFTì SULLA SPIANATA DELLE MOSCHEE – “Questo mio pellegrinaggio non sarebbe completo se non contemplasse anche l’incontro con le persone e le comunità che vivono in questa Terra, e pertanto sono particolarmente lieto di ritrovarmi con voi, fedeli musulmani, fratelli cari”. Lo ha detto ieri mattina Papa Francesco, nella visita al Gran Muftì di Gerusalemme nell’edificio del Gran Consiglio sulla Spianata delle Moschee. “In questo momento – ha proseguito – il mio pensiero va alla figura di Abramo, che visse come pellegrino in queste terre. Musulmani, cristiani ed ebrei riconoscono in Abramo, seppure ciascuno in modo diverso, un padre nella fede e un grande esempio da imitare”. Egli “si fece pellegrino” per “intraprendere quell’avventura spirituale alla quale Dio lo chiamava”. Il Pontefice ha spiegato che “un pellegrino è una persona che si fa povera, che si mette in cammino”, vivendo “della speranza di una promessa ricevuta”. Questa “fu la condizione di Abramo”, questa “dovrebbe essere anche il nostro atteggiamento spirituale.”

Papa Francesco con il Gran Muftì di Gerusalemme (foto Reuters)

Papa Francesco con il Gran Muftì di Gerusalemme (foto Reuters)

Nel pellegrinaggio terreno, ha sottolineato Francesco, “non siamo soli: incrociamo il cammino di altri fedeli, a volte condividiamo con loro un tratto di strada, a volte viviamo insieme una sosta che ci rinfranca”. Tale è l’incontro di oggi: “È una gradita sosta comune, resa possibile dalla vostra ospitalità, in quel pellegrinaggio che è la vita nostra e delle nostre comunità. Viviamo una comunicazione e uno scambio fraterni che possono darci ristoro e offrirci nuove forze per affrontare le sfide comuni che ci si pongono innanzi”. “Proprio in questo nostro incontro – ha sottolineato il Pontefice – sentiamo risuonare in profondità la chiamata ad essere operatori di pace e di giustizia, ad invocare nella preghiera questi doni e ad apprendere dall’alto la misericordia, la grandezza d’animo, la compassione”. Poi l’appello: “Cari fratelli, cari amici, da questo luogo santo lancio un accorato appello a tutte le persone e le comunità che si riconoscono in Abramo: rispettiamoci ed amiamoci gli uni gli altri come fratelli e sorelle! Impariamo a comprendere il dolore dell’altro! Nessuno strumentalizzi per la violenza il nome di Dio! Lavoriamo insieme per la giustizia e per la pace!”.

 

Papa Francesco al Muro occidentale, a Gerusalemme (foto EPA)

Papa Francesco al Muro occidentale, a Gerusalemme (foto EPA)

LA PREGHIERA SILENZIOSA AL MURO OCCIDENTALE – “Domandate pace per Gerusalemme: sia pace a coloro che ti amano, sia pace sulle tue mura, sicurezza nei tuoi baluardi”. Con le parole del Salmo 121, il rabbino Shmuel Rabinovich ha accolto Papa Francesco al Muro Occidentale di Gerusalemme. Una visita durante la quale il Pontefice ha sostato in preghiera silenziosa per qualche minuto, toccando il Muro con la mano destra. Al termine, Papa Francesco ha deposto in una fessura del Muro una busta contenente un foglio con la preghiera del “Padre Nostro” in spagnolo, scritta personalmente. Successivamente sul Libro d’Onore del Muro Occidentale ha scritto una dedica in spagnolo che riportava un versetto dello stesso Salmo 121: “Quale gioia quando mi dissero ‘Andiamo alla casa del Signore’. Ora i nostri piedi si fermano alle tue porte, Gerusalemme”. Per poi aggiungere: “Con questi sentimenti di gioia verso i miei fratelli maggiori, sono venuto ora e ho chiesto al Signore la grazia della pace”. Quando si è voltato, gli sono andati incontro i due amici di vecchia data, che ha voluto al suo seguito in questo viaggio: il rabbino Skorka e lo sceicco Abboud. I tre amici, in un caloroso abbraccio sotto il Muro, hanno dimostrato con un gesto come il dialogo interreligioso sia possibile. Skorka, visibilmente commosso, ha abbracciato a lungo il Papa. Un abbraccio tra esponenti di ebraismo, cristianesimo e islam, proprio qui nel cuore della Città Santa di Gerusalemme, culla delle tre religioni monoteiste.

SUL MONTE HERZL – Un grido contro il terrorismo nel mondo. Lo ha lanciato Papa Francesco sostando davanti alla stele delle vittime del terrorismo a Gerusalemme, non distante dal Monte Herzl. Accompagnato dal presidente israeliano Shimon Peres, il Papa ha detto: “Il terrorismo è male perché nasce dall’odio, perché non costruisce ma distrugge. Il nostro popolo capisce che la via del terrorismo non aiuta, che il cammino del terrorismo è fondamentalmente criminale. Per tutte le vittime del terrorismo, mai più terroristi nel mondo”.

ALLO YAD VASHEM: “MAI PIÙ, SIGNORE, MAI PIÙ” – “«Adamo, dove sei?». Dove sei, uomo? Dove sei finito? In questo luogo, memoriale della Shoah, sentiamo risuonare questa domanda di Dio: «Adamo, dove sei?»“. Così Papa Francesco, nella visita compiuta al memoriale di Yad Vashem a Gerusalemme: nella domanda “c’è tutto il dolore del Padre che ha perso il figlio“. Papa Francesco nella Sala delle Rimembranze ha alimentato la fiamma perenne che ricorda lo sterminio degli ebrei che si erge sulle scritte dei 21 Campi di concentramento nazisti. Aiutato da due giovani cattolici di espressione ebraica di Jaffa e Tel Aviv, ha deposto una corona di fiori bianchi e gialli sull’urna contenente le ceneri degli ebrei cremati ad Auschwitz. Quindi ha salutato sei sopravvissuti: tra loro un polacco cresciuto in una famiglia cattolica. Papa Francesco, visibilmente commosso, a ciascuno di loro ha baciato la mano. 

Il Padre, ha aggiunto, “conosceva il rischio della libertà; sapeva che il figlio avrebbe potuto perdersi… ma forse nemmeno il Padre poteva immaginare una tale caduta, un tale abisso! Quel grido: «Dove sei?», qui, di fronte alla tragedia incommensurabile dell’Olocausto, risuona come una voce che si perde in un abisso senza fondo…”.

Il Santo Padre al memoriale di Yad Vashem (foto AP)

Il Santo Padre al memoriale di Yad Vashem (foto AP)

Il Santo Padre ancora ha chiesto: “Uomo, chi sei? Non ti riconosco più. Chi sei, uomo? Chi sei diventato? Di quale orrore sei stato capace? Che cosa ti ha fatto cadere così in basso? Non è la polvere del suolo, da cui sei tratto. La polvere del suolo è cosa buona, opera delle mie mani. Non è l’alito di vita che ho soffiato nelle tue narici. Quel soffio viene da me, è cosa molto buona”. E ha aggiunto: “No, questo abisso non può essere solo opera tua, delle tue mani, del tuo cuore… Chi ti ha corrotto? Chi ti ha sfigurato? Chi ti ha contagiato la presunzione di impadronirti del bene e del male? Chi ti ha convinto che eri dio?”. L’uomo si è macchiato di gravi crimini: “Non solo hai torturato e ucciso i tuoi fratelli, ma li hai offerti in sacrificio a te stesso, perché ti sei eretto a dio. Oggi torniamo ad ascoltare qui la voce di Dio: «Adamo, dove sei?»”. Di fronte agli orrori, “dal suolo si leva un gemito sommesso: Pietà di noi, Signore! A te, Signore nostro Dio, la giustizia, a noi il disonore sul volto, la vergogna. Ci è venuto addosso un male quale mai era avvenuto sotto la volta del cielo. Ora, Signore, ascolta la nostra preghiera, ascolta la nostra supplica, salvaci per la tua misericordia. Salvaci da questa mostruosità. Signore onnipotente, un’anima nell’angoscia grida verso di te. Ascolta, Signore, abbi pietà!”. Poi la supplica: “Abbiamo peccato contro di te. Tu regni per sempre. Ricordati di noi nella tua misericordia. Dacci la grazia di vergognarci di ciò che, come uomini, siamo stati capaci di fare, di vergognarci di questa massima idolatria, di aver disprezzato e distrutto la nostra carne, quella che tu impastasti dal fango, quella che tu vivificasti col tuo alito di vita. Mai più, Signore, mai più!”. E, allora, davanti alla domanda di Dio: “Adamo, dove sei?”, la risposta è piena di fiducia nella misericordia di Dio: “Eccoci, Signore, con la vergogna di ciò che l’uomo, creato a tua immagine e somiglianza, è stato capace di fare. Ricordati di noi nella tua misericordia”.

CON I GRANDI RABBINI: INSIEME CONTRO ANTISEMITISMO – “Fin dal tempo in cui ero arcivescovo di Buenos Aires ho potuto contare sull’amicizia di molti fratelli ebrei”. Lo ha detto Papa Francesco nella visita di cortesia ai due gran rabbini di Israele nel Centro Heichal Shlomo a Gerusalemme, ricordando anche che “nei primi mesi di pontificato ho potuto ricevere diverse organizzazioni ed esponenti dell’ebraismo mondiale”. Per il Pontefice, “questo cammino di amicizia rappresenta uno dei frutti del Concilio Vaticano II, in particolare della Dichiarazione Nostra Aetate” di cui ricorre il prossimo anno il 50° anniversario. “Sono convinto che quanto è accaduto negli ultimi decenni nelle relazioni tra ebrei e cattolici sia stato un autentico dono di Dio, una delle meraviglie da Lui compiute, per le quali siamo chiamati a benedire il suo nome – ha sostenuto.

Il Papa con i due Grandi Rabbini di Israele (foto AFP)

Il Papa con i due Grandi Rabbini di Israele (foto AFP)

“Un dono di Dio, che però non avrebbe potuto manifestarsi senza l’impegno di moltissime persone coraggiose e generose, sia ebrei che cristiani”. Facendo riferimento al Bar Mitzvah della tradizione ebraica, Francesco ha detto: “Mi piace pensare che esso sia ormai prossimo all’età adulta: sono fiducioso che possa continuare ed abbia un futuro luminoso davanti a sé”. E ha sottolineato: “Non si tratta solamente di stabilire, su di un piano umano, relazioni di reciproco rispetto: siamo chiamati, come cristiani e come ebrei, ad interrogarci in profondità sul significato spirituale del legame che ci unisce. Si tratta di un legame che viene dall’alto, che sorpassa la nostra volontà e che rimane integro, nonostante tutte le difficoltà di rapporti purtroppo vissute nella storia”, ha dichiarato il Papa. Da parte cattolica “vi è certamente l’intenzione di considerare appieno il senso delle radici ebraiche della propria fede. Confido, con il vostro aiuto, che anche da parte ebraica si mantenga, e se possibile si accresca, l’interesse per la conoscenza del cristianesimo, anche in questa terra benedetta in cui esso riconosce le proprie origini e specialmente tra le giovani generazioni”. “Insieme – ha concluso – potremo dare un grande contributo per la causa della pace; insieme potremo testimoniare, in un mondo in rapida trasformazione, il significato perenne del piano divino della creazione; insieme potremo contrastare con fermezza ogni forma di antisemitismo e le diverse altre forme di discriminazione.”

L'abbraccio tra il Papa e Shimon Peres (foto EPA)

L’abbraccio tra il Papa e Shimon Peres (foto EPA)

FRANCESCO A PERES: “GERUSALEMME SIA DAVVERO CITTA’ DELLA PACE” – “I Luoghi Santi non sono musei o monumenti per turisti, ma luoghi dove le comunità dei credenti vivono la loro fede, la loro cultura, le loro iniziative caritative”. Lo ha dichiarato  Papa Francesco, nella visita al presidente dello Stato di Israele Shimon Peres. Il Pontefice ha espresso l’auspicio che “Gerusalemme sia veramente la Città della pace!”, ma “la costruzione della pace esige anzitutto il rispetto per la libertà e la dignità di ogni persona umana, che ebrei, cristiani e musulmani credono ugualmente essere creata da Dio e destinata alla vita eterna”. Da questo punto fermo, “è possibile perseguire l’impegno per una soluzione pacifica delle controversie e dei conflitti”. Di qui l’auspicio che “si evitino da parte di tutti iniziative e atti che contraddicono alla dichiarata volontà di giungere ad un vero accordo e che non ci si stanchi di perseguire la pace con determinazione e coerenza”. Va respinto “con fermezza tutto ciò che si oppone al perseguimento della pace e di una rispettosa convivenza tra ebrei, cristiani e musulmani: il ricorso alla violenza e al terrorismo, qualsiasi genere di discriminazione per motivi razziali o religiosi, la pretesa di imporre il proprio punto di vista a scapito dei diritti altrui, l’antisemitismo in tutte le sue possibili forme, così come la violenza o le manifestazioni di intolleranza contro persone o luoghi di culto ebrei, cristiani e musulmani”. Papa Francesco ha sottolineato l’importanza della presenza, nello Stato d’Israele, “di diverse comunità cristiane. Esse sono parte integrante della società – ha ribadito – e partecipano a pieno titolo delle sue vicende civili, politiche e culturali. I fedeli cristiani desiderano portare, a partire dalla propria identità, il loro contributo per il bene comune e per la costruzione della pace, come cittadini a pieno diritto che, rigettando ogni estremismo, si impegnano ad essere artefici di riconciliazione e di concordia”. Per il Papa, “la loro presenza e il rispetto dei loro diritti – come del resto dei diritti di ogni altra denominazione religiosa e di ogni minoranza – sono garanzia di un sano pluralismo e prova della vitalità dei valori democratici, del loro reale radicamento nella prassi e nella concretezza della vita dello Stato”. “Lei sa che io prego per lei e io so che lei prega per me – ha aggiunto rivolgendosi a Peres – e le assicuro la continua preghiera per le Istituzioni e per tutti i cittadini d’Israele. Assicuro in modo particolare la mia supplica a Dio per l’ottenimento della pace e con essa dei beni inestimabili che le sono strettamente correlati, quali la sicurezza, la tranquillità di vita, la prosperità, quella che è più bella, la fratellanza”. Un pensiero, infine, a “tutti coloro che soffrono per le conseguenze delle crisi ancora aperte nella regione medio-orientale”, con l’auspicio di un’“onorevole composizione dei conflitti”.

AL GETSEMANI – “Al Getsemani, la sequela si fa difficile e incerta; c’è il sopravvento del dubbio, della stanchezza e del terrore. Nel succedersi incalzante della passione di Gesù, i discepoli assumeranno diversi atteggiamenti nei confronti del Maestro: di vicinanza, di allontanamento, di incertezza”. Lo ha ricordato Papa Francesco nell’incontro con sacerdoti, religiosi, religiose e seminaristi nella chiesa del Getsemani accanto all’Orto degli Ulivi. Per il Pontefice, “farà bene a tutti noi, vescovi, sacerdoti, persone consacrate, seminaristi, in questo luogo, domandarci: chi sono io davanti al mio Signore che soffre?”. Così anche nella Terra di Gesù, il Santo Padre ha riproposto un esame di coscienza, come aveva fatto nella celebrazione della Domenica delle Palme e della Passione del Signore. Di qui una serie di domande se siamo tra quelli che, “invitati da Gesù a vegliare con Lui, si addormentano” o “sono fuggiti per paura” o come chi “ha tradito Gesù” per trenta denari o, come Pietro, lo ha rinnegato? Ci sono anche esempi positivi: “Oppure, grazie a Dio, mi ritrovo tra coloro che sono stati fedeli sino alla fine, come la Vergine Maria e l’apostolo Giovanni? Mi riconosco in quelli che hanno imitato il loro Maestro e Signore fino al martirio, testimoniando quanto Egli fosse tutto per loro, la forza incomparabile della loro missione e l’orizzonte ultimo della loro vita?”

Il Papa pianta un ulivo nell'orto del Getsemani (foto CTV)

Il Papa pianta un ulivo nell’orto del Getsemani (foto CTV)

Proseguendo a braccio, ha ribadito: “Tutti noi siamo esposti al peccato, al male, al tradimento”. Anche se “avvertiamo la sproporzione tra la grandezza della chiamata di Gesù e la nostra piccolezza, tra la sublimità della missione e la nostra fragilità umana”, “il Signore, nella sua grande bontà e nella sua infinita misericordia, ci prende sempre per mano, perché non affoghiamo nel mare dello sgomento. Egli è sempre al nostro fianco, non ci lascia mai soli”. Dunque, è stato l’invito, “non lasciamoci vincere dalla paura e dallo sconforto, ma con coraggio e fiducia andiamo avanti nel nostro cammino e nella nostra missione”.

“Voi, cari fratelli e sorelle, siete chiamati a seguire il Signore con gioia in questa Terra benedetta! È un dono e anche una responsabilità – ha chiarito -. La vostra presenza qui è molto importante; tutta la Chiesa vi è grata e vi sostiene con la preghiera”. Di nuovo a braccio, il Santo Padre ha affermato: “Da questo luogo, luogo santo, desidero inoltre rivolgere un affettuoso saluto a tutti i cristiani di Gerusalemme. Vorrei assicurare che li ricordo con affetto e che prego per loro, ben conoscendo le difficoltà della loro vita nella città”. Il Papa ha quindi esortato a “essere testimoni coraggiosi della Passione del Signore, ma anche della Sua Risurrezione con gioia e nella speranza”. Infine, l’invito a imitare la Vergine Maria e san Giovanni: “Stiamo accanto alle tante croci dove Gesù è ancora crocifisso. Questa è la strada nella quale il nostro Redentore ci chiama a seguirlo. Non ce n’è un’altra, è questa”, ha concluso. Al termine dell’incontro, il Pontefice ha piantato un piccolo ulivo vicino a quello messo a dimora da Paolo VI il 4 gennaio del 1964.

 

LA MESSA AL CENACOLO – Ultimo atto della intensa visita del Papa è stata la Messa nella Sala del Cenacolo. Qui Gesù ha celebrato l’Ultima Cena con gli Apostoli, qui è apparso risorto in mezzo a loro, sempre qui è sceso lo Spirito Santo su Maria e i discepoli e qui è nata la Chiesa. Un luogo sempre conteso: affidato ai francescani, trasformato poi in moschea, oggi sotto il controllo dello Stato d’Israele. Al Cenacolo ha celebrato anche Giovanni Paolo II. Oggi non si parla più di restituzione ai francescani ma di possibile “uso liturgico” anche per i cristiani.  Questo non ha frenato, nei giorni scorsi, la protesta degli ebrei ultraortodossi che in questo luogo venerano quella che considerano la tomba di Davide e ne rivendicano il possesso. Francesco ha voluto celebrare con tutti gli Ordinari di Terra Santa ed il seguito papale. 

La messa al Cenacolo con gli Ordinari cattolici (foto AFP)

La messa al Cenacolo
con gli Ordinari cattolici (foto AFP)

Al Cenacolo è nata la Chiesa, una ‘Chiesa in uscita’ che fa memoria di ciò che è accaduto in questo luogo, ha esordito Papa Francesco nell’omelia. Il Cenacolo, infatti, ci ricorda il servizio: Gesù ha lavato i piedi ai suoi discepoli per dirci di servire il povero, il malato, l’escluso. Il Cenacolo ci ricorda l’Eucarestia, il sacrificio: sull’esempio di Gesù che si è offerto per noi al Padre, noi possiamo offrire a Dio la nostra vita, il nostro lavoro, le nostre gioie ed i nostri dolori. Il Cenacolo – ha continuato Papa Francesco – ci ricorda l’amicizia: l’esperienza più bella del cristiano e dei sacerdoti è diventare amici del Signore Gesù. Il Cenacolo ci ricorda il congedo e la promessa che Gesù non ci abbandona mai. Il Cenacolo ci ricorda anche la meschinità, la curiosità e il tradimento. “E può essere ciascuno di noi – ha osservato – non solo e sempre gli altri, a rivedere questi atteggiamenti, quando guardiamo con sufficienza il fratello, lo giudichiamo; quando con i nostri peccati tradiamo Gesù”. Il Cenacolo, ha detto, “ci ricorda la condivisione, la fraternità, l’armonia, la pace tra noi”: “Quanto amore, quanto bene è scaturito dal Cenacolo! Quanta carità è uscita da qui, come un fiume dalla fonte, che all’inizio è un ruscello e poi si allarga e diventa grande… Tutti i santi hanno attinto da qui; il grande fiume della santità della Chiesa sempre prende origine da qui, sempre di nuovo, dal Cuore di Cristo, dall’Eucaristia, dal suo Santo Spirito”.

“Il Cenacolo – ha affermato ancora il Papa – ci ricorda la nascita della nuova famiglia, la Chiesa, costituita da Gesù risorto”. Una famiglia, ha soggiunto, che ha una Madre, la Vergine Maria. Le famiglie cristiane, ha detto, appartengono a questa grande famiglia e in essa trovano la forza per camminare e rinnovarsi, attraverso le fatiche e le prove della vita: “Questo è l’orizzonte del Cenacolo: l’orizzonte del Risorto e della Chiesa. Da qui parte la Chiesa in uscita, animata dal soffio vitale dello Spirito. Raccolta in preghiera con la Madre di Gesù, essa sempre rivive l’attesa di una rinnovata effusione dello Spirito Santo: Scenda il tuo Spirito, Signore, e rinnovi la faccia della terra!”

Queste le ultime parole di Papa Francesco da Gerusalemme. Dal Cenacolo la Chiesa di Terra Santa ora è chiamata “ad uscire” per raccogliere il suo insegnamento, continuando a camminare sulle orme di Gesù.

 

Fonti: AgenSir e Radio Vaticana

 

 

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