Mentre prosegue la strage nella Striscia di Gaza, sembra passare quasi sotto silenzio la tragedia dell’esodo dei cristiani dell’Iraq. Gli ultimi che hanno lasciato la città di Mosul, dopo l’ultimatum rivolto loro dai jihadisti dell’auto-proclamato Califfato Islamico, sono quasi tremila. Un numero molto più alto delle stime approssimative finora circolate, secondo cui soltanto poche centinaia di battezzati erano rimasti a Mosul dopo che la seconda città irachena era stata occupata degli insorti sunniti guidati dai miliziani dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (ISIL).

La lettera araba corrispondente alla “N” con cui sono state marchiate le case dei cristiani di Mosul
Le case dei cristiani erano state marchiate con il carattere arabo corrispondente alla “N”, come “nasara”, seguace del Nazareno. Un marchio di discriminazione e di infamia, che ricorda tristemente le stelle di David sulle porte di case e negozi ebrei nella Germania nazista. Ma come ha scritto pochi giorni fa il direttore di Avvenire Marco Tarquinio, in un sentito editoriale, “quella «N» la portiamo anche noi, con disarmato e dolente orgoglio, con consapevole partecipazione alla sorte delle donne e degli uomini cristiani di Mosul e di ogni altro perseguitato a ragione della propria fede.” E prosegue: “Questo è il giorno giusto per dirlo, e – speriamo – non da soli. Perché quella «N» la portiamo nell’anima, nel cuore, sulla pelle, e non come una cicatrice amara o una bandiera di guerra, ma come l’inizio di una parola di fraternità e di libertà.”
Come riferisce all’Agenzia Fides il medico triestino Marzio Babille, responsabile Unicef per l’Iraq, la maggior parte dei cristiani fuggiti da Mosul “si è mossa verso la tradizionale direttrice nord che va verso i centri abitati di Tilkif, Batnaya e Alqosh. Una quarantina di famiglie si sono spostate a est, verso Qaraqosh, e una trentina sono state accolte nella provincia di Dohuk. Venti famiglie – spiega infine Babille – hanno raggiunto Erbil, la capitale della regione autonoma del Kurdistan iracheno, dove è stato creato un piccolo centro di accoglienza in collaborazione con l’arcidiocesi caldea.”
Domenica pomeriggio i miliziani jiahdisti si sono impossessati dell’antico Monastero di Mar Behnam, a dieci minuti dalla città di Qaraqosh, fino a ieri officiato da monaci siro-cattolici. L’Arcivescovo siro-cattolico di Mosul, Yohanna Petros Moshe, conferma all’Agenzia Fides che gli emissari del Califfato “hanno imposto ai tre monaci e a alcune famiglie residenti nel Monastero di andar via e lasciare le chiavi”. Non ci sono per ora altre notizie confermate su quello che sta succedendo nel Monastero, anche se molti temono il ripetersi di atti vandalici e profanazioni già registrati in altri luoghi di culto cristiani finiti nelle mani dei jihadisti. Intanto, nella città di Qaraqosh, distante solo pochi chilometri da Mar Behnam – la resa del Monastero da parte dei miliziani islamisti ha già accresciuto lo stato di allarme della popolazione, in maggioranza cristiana. “La comunità internazionale – sottolinea il sacerdote siro cattolico Nizar Semaan, collaboratore dell’Arcivescovo Moshe – fa registrare una inquietante passività davanti a quello che sta succedendo in quell’area. Occorre uscire dalle dichiarazioni vaghe, e porre in atto misure concrete sul piano umanitario e politico. Ad esempio, è venuto il tempo di inserire questi gruppi nella lista delle organizzazioni terroristiche condannate dagli organismi internazionali, e soprattutto occorre rendere pubblici i nomi dei Paesi e delle forze che li finanziano. I servizi segreti e i governi dei vari Paesi certo sanno certo da dove arrivano le armi e il denaro che tengono in piedi questi gruppi. Basterebbe interrompere il flusso per un mese, e questi gruppi non avrebbero più nessuna forza”. Inoltre, a giudizio di p. Semaan, occorre coinvolgere leader e seguaci dell’Islam sunnita nello sforzo di isolare i gruppi jihadisti: “un pronunciamento di condanna nei confronti di questi gruppi da parte delle autorità islamiche, diffuso attraverso la rete delle moschee, avrebbe di certo un effetto rilevante”, fa notare il sacerdote siro cattolico.
Nel pomeriggio di domenica Papa Francesco ha chiamato al telefono il patriarca di Antiochia dei siro cattolici Ignatius Youssef III Younan, per “rassicurarlo che segue da vicino e con preoccupazione il dramma dei cristiani cacciati e minacciati nella città irachena di Mosul”. Lo riferisce il Sir citando il patriarcato siro cattolico.