Nel suo ultimo numero il fascicolo aretino di Toscana Oggi ha dedicato la sua apertura al tema del lavoro. “La Chiesa s’interroga di fronte al grande tema dell’occupazione. L’impegno della diocesi a fianco dei giovani”, si legge in prima pagina. All’interno la riflessione del direttore dell’Ufficio della pastorale sociale e del lavoro della diocesi di Arezzo-Cortona-Sansepolcro, Marco Randellini. A seguire, vi proponiamo il testo integrale.
I numeri che interrogano la Chiesa
In Italia la disoccupazione giovanile veleggia verso il 40% e la cosiddetta “Industria 4.0” dovrebbe portare, nei prossimi anni, macchine sempre più in grado di sostituire il lavoro umano, anche professionale: il report del World Economic Forum (che raggruppa le 100 imprese più importanti a livello internazionale) dello scorso anno calcola, infatti, che entro il 2020 si potrebbero perdere circa 5 milioni di posti di lavoro a causa dei robot e delle macchine “intelligenti”.
L’ultimo rapporto IRPET sul mercato del lavoro segnala, poi, un raddoppio del tasso di disoccupazione in Toscana dall’avvio della crisi (2008), ma sopratutto un incremento di quasi il 40% del cosiddetto “potenziale di lavoro inespresso o irregolare” (inattivi e lavoratori in nero).
Questa brutta situazione dovrebbe farci riflettere se non sia davvero giunto il momento di cambiare il nostro modo di concepire il lavoro o, in altri termini, il nostro “paradigma di lavoro”.
Il “mutamento del paradigma” è un’espressione cara a Papa Francesco, che se ne è servito più volte per auspicare il superamento di questa economia “dell’esclusione” e dell'”inequità” (EG, 53, 204; Laudato Sì, 109, 189).
I vescovi: “Lavoro svalorizzato”
Nel messaggio per la giornata del primo maggio 2107 della Commissione Episcopale per i problemi sociali e del lavoro, i Vescovi pongono l’accento proprio sul fatto che c’è prima di tutto da risolvere una “questione di giustizia”. Se il lavoro oggi manca “è perché veniamo da un’epoca in cui questa fondamentale attività umana ha subito una grave svalorizzazione. La finanziarizzazione dell’economia ha reso il lavoro quasi un inutile corollario”.
Occorre allora ricordare un principio sempre insegnato dalla Chiesa.
Questo “è il principio della priorità del «lavoro»” (Laborem Exercens, 12) e, in particolare, di un lavoro – come sottolinea Papa Francesco – libero, creativo, partecipativo e solidale (EG, 192).
Il lavoro libero o non servile, infatti, garantisce la dignità della persona ed è un mezzo indispensabile per affermare la propria personalità (cfr. artt. 1, 2 e 4 della Costituzione).
Il lavoro, inoltre, dovrebbe essere “creativo” perché ormai bisogna sempre più “inventarsi” il lavoro e collegarlo ad un progetto di vita individuale e famigliare. Questo ci porta ad assumere la consapevolezza che il lavoro non è, come si crede, una quantità definita, ma una risorsa a disposizione di chiunque voglia mettersi all’opera.
L’impegno della diocesi per l’occupazione giovanile
Da un paio di anni è attivo nella nostra Diocesi di Arezzo-Cortona-Sansepolcro il Progetto Policoro, rivolto a giovani in attesa di occupazione che hanno dei sogni nel cassetto da realizzare. La chiesa aretina, in piena sussidiarietà, si è messa in ascolto di questi giovani, aiutandoli in un percorso di auto imprenditorialità.
Il progetto, coinvolge ben tre uffici pastorali (lavoro, giovani e Caritas) e mette a disposizione uno sportello di orientamento aperto due volte alla settimana in San Michele ad Arezzo (martedì e giovedì dalle 17,00 alle 19,00). L’Arcivescovo Riccardo ha, più volte, ribadito la disponibilità a venire incontro ai giovani aretini che hanno serie aspirazioni, mettendo anche a disposizione parte del patrimonio diocesano.
Con il lavoro “partecipativo” si vuole riaffermare il valore della cooperazione e l’importanza della comunità in cui esso si realizza.
Non bisogna trascurare che l’Italia possiede ancora tanti vitali distretti produttivi, in cui il cosiddetto capitale umano e sociale costituisce la risorsa più importante.
Ad Arezzo esistono ancora ben tre di questi distretti (oro, tessile-abbigliamento, pelletteria-cuoio-calzature) che producono alcuni dei migliori esempi del Made in Italy nel mondo. Essi sono nati grazie all’intraprendenza di lavoratori aretini che hanno messo a frutto le loro precedenti esperienze e che si sono giovati della voglia di partecipazione e riscatto di tutto il sistema economico locale. Occorre ritrovare quel coraggio, entusiasmo ed operosità: non esistono formule magiche per creare lavoro!
Il “buon lavoro”, secondo Papa Francesco, possiede anche una componente “solidale”. Basti pensare che esso prosegue l’opera del Creatore e dovrebbe contribuire alla realizzazione del bene comune.
Vi sono tanti imprenditori e lavoratori che non mirano soltanto al profitto o al salario, ma si trovano spesso sulla stessa sponda, nel contribuire al benessere delle loro comunità locali.
La responsabilità sociale d’impresa, ad esempio, si sta facendo sempre più largo nella letteratura degli studi aziendalistici.
Ma anche il volontariato, il servizio civile, l’alternanza scuola-lavoro, i contratti di solidarietà espansiva (cioè rivolti a diminuire le ore lavorative per garantire maggiore occupazione) costituiscono solo alcuni esempi che dimostrano come si possa “fare del bene” attraverso il lavoro.
Merita ricordare che l’ultimo censimento dell’industria e dei servizi del periodo 2001-2011 ha registrato, ad Arezzo, un ‘impennata di occupazione del 55% proprio nel settore del no profit.
Verso la Settimana sociale dei cattolici
Il progetto “Cercatori di LavOro” dell’Ufficio di Pastorale Sociale ha ritenuto doveroso far emergere queste buone pratiche, in modo che possano costituire esempi possibilmente replicabili in altri territori.
Queste realtà di eccellenza verranno raccontate alla Settimana Sociale dei Cattolici a Cagliari (in programma il prossimo ottobre) che, non a caso, ha per titolo: “Il lavoro che vogliamo: libero, creativo, partecipativo, solidale”.