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Giornata mondiale contro la povertà. Intervento del prof. Anselmo Grotti

17/10/2018 / Luca Primavera / In evidenza, Notizie

Non potendo purtroppo farlo di persona, per cause non dipendenti dalla mia volontà, ci tengo molto ad esprimere il mio più caldo benvenuto a tutti i partecipanti a questo incontro. Ringrazio i curatori del Rapporto e tutti gli intervenuti per aver scelto il nostro Liceo Scientifico e Linguistico “Francesco Redi” di Arezzo per la Presentazione Rapporto diocesano sulle povertà in occasione della giornata mondiale contro la povertà.

Saluto in particolare Mons. Riccardo Fontana, Arcivescovo della Diocesi di Arezzo-Cortona-Sansepolcro

Mons. Giuliano Francioli, Direttore della Caritas diocesana

Dott. Andrea Dalla Verde, Vice Direttore della Caritas diocesana

Debora Sacchetti, Responsabile Osservatorio delle Povertà della Caritas diocesana

Ringrazio per la preziosa collaborazione, anche in questa circostanza, la Vicepreside, Prof.ssa Velia Guiducci, nonché i Docenti e gli Studenti che questa mattina partecipano in questa Sala al nostro convegno.

 

Per il nostro Liceo Redi occasioni come queste non sono un atto formale o estrinseco alle ordinarie attività formativa della scuola. Interrogarsi sul tema della povertà mettendo assieme docenti, studenti, e realtà cittadine è un valore per almeno cinque caratteristiche, che cercherò di sintetizzare in altrettante parole.

  1. La prima parola è conoscere. Conoscere vuol dire conoscere la matematica, la filosofia, le lingue, l’informatica…; ma significa anche conoscere la realtà che ci circonda, le relazioni di cui siamo intessuti.
  2. La seconda parola è pensare. Il pensiero non è cosa del passato, roba da museo, presunta inerzia da sostituirsi in tutta fretta al “fare”. “Fare” senza “pensare” è un inutile agitarsi. E un pensiero autentico non può non accompagnarsi a un “fare” concreto.
  3. Terza parola: cittadinanza. Non dobbiamo arrenderci all’idea che la povertà sia un male inevitabile – o addirittura un “bene” perché segnala chi si è impegnato da chi no. La dignità di ogni essere umano è tale per cui ci possono essere differenze negli stili di vita, ma non nell’accesso a quei beni e a quelle relazioni che ci rendono appunto “esseri umani”. Fare ognuno la propria parte per combattere la povertà (e abbiamo visto che anche conoscere e pensare sono un fare: lo dico agli studenti in particolare) non ha soltanto un valore etico: il rispetto dell’altro. Ha anche un valore economico: aumentare il numero di coloro che possono dare un contributo alla società di tutti, attivando competenze e potenzialità che oggi vengono falcidiate a migliaia. Forse qualche bambino denutrito o senza istruzione aveva le potenzialità per vincere un Nobel, scoprire una nuova terapia, comprendere un po’ di più il mistero della fisica quantistica. O forse, va bene lo stesso, avrebbe trovato un lavoro, si sarebbe innamorato di una ragazza, giocato a calcio, generato dei figli.
  4. Quarta parola: dignità. I poveri, come tutti noi, hanno diritto al pane ma anche a ciò che è “immateriale”, come la cultura. Nel 1954 un famoso sociologo americano definì la cosiddetta ‘piramide di Maslow’ che infatti prende nome da lui). Si chiama piramide perché Maslow sostiene che alla base ci siano i bisogni fisiologici (fame, sete, caldo e freddo, ecc.) e solo una volta soddisfatti questi possiamo permetterci il lusso di passare ai bisogni di ordine superiore (sicurezza e protezione), poi a quelli di appartenenza quindi ai bisogni di stima. E, infine, una volta saziati, riscaldati e stimati possiamo finalmente dedicarci al lusso dei bisogni di auto-realizzazione, che occupano il vertice della piramide. Certo è vero che prima occorre mangiare per poter fare filosofia, ma sarebbe un grave errore pensare alla lotta contro la povertà semplicemente come fornitura di acqua e cibo, mentre il resto è troppo “superfluo” e che insomma si accontentino… Faremmo dell’assistenzialismo, che non riduce la povertà ma la prolunga, che non rende autonome le persone ma le rende passive e manipolabili. La più grande povertà è l’assenza di dignità, e non avere un lavoro e una autonomia non è dignità, anche se distribuiamo “panem et circenses”, come nell’antica Roma
  5. La quinta parola à cultura. Se non vogliamo applicare troppo meccanicamente la “piramide di Maslow” occorre renderci conto che esiste una povertà anche culturale, che va combattuta non meno della altre. E questo è un motivo fondamentale per parlarne in un Liceo. È qui in particolare che siamo chiamati a fare la nostra parte: educarci al gusto del pensiero, dell’analisi, del dialogo che si confronta e sceglie di non urlare, di considerare l’altro eventualmente come interlocutore ma non come nemico, che non sceglie parole di odio. Vorrei terminare ricordando che il Liceo “Redi” ha aderito alla campagna nazionale No Hate Speech, il cui manifesto sulle Regole della comunicazione non ostile è appeso nell’atrio della scuola. Vi invito a passarci davanti e leggerlo. In epoche di fake news, di odiatori da tastiera, di svalutazione della cultura noi ribadiamo con forza e con serenità che il percorso comune di educazione reciproca che avviene in una comunità dell’apprendimento rappresenta il miglior modo di vivere una stagione che ci offre possibilità inedite, e quindi anche rischi e responsabilità inediti.

Grazie ancora per quello che vorrete dirci e per il dialogo che potrà aprirsi con gli studenti. Il Liceo “Redi” sarà sempre aperto e disponibile a tutte le iniziative che permettano una comune crescita nella conoscenza, nella relazione, nella generazione. Buon lavoro.

 

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