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Omelia dell’arcivescovo Riccardo Fontana a conclusione del Convegno pastorale diocesano

04/09/2019 / Redazione / Notizie

Care sorelle e cari fratelli,

il Signore ci dia pace!

 

  1. Pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale[1]

L’Apostolo Paolo motiva il ringraziamento che questa sera esprimiamo al Signore, a conclusione del Convegno che abbiamo fatto per avviare l’attuazione del Sinodo: “Voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio”[2].

Essere Chiesa significa partecipare, essere un popolo coinvolto, pur nelle varie aggregazioni sul territorio, essere un’unica realtà. In questi giorni abbiamo sperimentato una profonda partecipazione di tutti.

La Prima parte del Liber Synodalis mette in correlazione l’unità con l’identità di questa Chiesa. So bene che è un lavoro complesso da fare con pazienza e determinazione, abbattendo le barriere e favorendo i momenti di dialogo.

Le Foranie e le Zone Pastorali – per grazia di Dio sempre più efficienti – sono puri strumenti di servizio, come previsti dal Diritto della Chiesa. Siamo tuttavia ben convinti che l’unità e l’appartenenza non sono tanto fatti sociologici e umani, quanto piuttosto dono da chiedere a Dio. Sono obiettivi di fede per raggiungere i quali abbiamo bisogno della Grazia della nostra personale conversione.

La Chiesa è fondata sugli Apostoli e sui Profeti “avendo come pietra angolare lo stesso Cristo Gesù”[3]. In terra d’Arezzo, questa Chiesa particolare giustamente si compiace di una ininterrotta successione apostolica, dacché io sono il 104esimo successore di San Donato. Ciascuno dei miei predecessori ha cercato di fare del suo meglio per passare le verità della fede e guidare questo popolo verso la santità. Certamente non sono mancati i Profeti, grandi come Romualdo e Francesco o di misura più ridotta e meno conosciuta, come i santi delle nostre famiglie, gli ottimi parroci di cui alcuni perfino martiri. Tuttavia, il vero fondamento della nostra Chiesa è il Signore Gesù risorto, vivo e presente in mezzo a noi.

 

  1. La vera e viva devozione è una sola

Le basse viti della Terra Santa, come i più celebrati vigneti della terra d’Arezzo, sono un’immagine plastica della similitudine di Giovanni 15, che abbiamo appena ascoltato: “Io sono la vera vite e il Padre mio è il mio vignaiolo”[4].

Quanto vi fu di peccato, la paternità misericordiosa di Dio interviene perché non sia causa di danno per tutto il corpo ecclesiale. La vera ragione delle trasformazioni che avvengono all’interno della Chiesa è che il “vignaiolo” pota la nostra pianta, perché i fuoristrada siano rimediati, quanto è obsoleto cada in disuso, quanto esprime la necessità del tempo presente venga valorizzato, perché tutti ritrovino la via del Vangelo. Anche in questo passaggio della nostra storia comune, occorre “scrutare i segni dei tempi”[5] come 54 anni fa i Padri del Concilio ci avevano insegnato.

La cultura oggi prevalente è segnata dall’individualismo. Molti credono che la Religione consista nell’andare in cerca di eventi strepitosi. C’è chi moltiplica chilometri con la presunzione di vedere la Madonna oppure chi, di fronte a dolorose patologie spesso di valenza psicologica, crede di risolvere i propri problemi, ricorrendo ai sacramentali, non già per impetrare conforto, ma per ottenere la soluzione, prescindendo dal ricorso alla scienza, che pure fa progressi per dono di Dio e sotto la guida dello Spirito Santo. Il vero miracolo è che moltissime persone nel silenzio delle coscienze si stanno riavvicinando alla Chiesa, forse al Signore furono state sempre vicine, anche se non lo espressero nelle forme consuete d’appartenenza ecclesiale. Talvolta si dimentica che la Madonna stessa, la più alta Avvocata di noi peccatori, non si separa mai dalla Chiesa, della quale è “madre, modello e figura”[6].

“Salus extra ecclesiam non est”[7]. Così già scriveva il Vescovo martire Cipriano a Papa Stefano. La salvezza è personale, ma la si ottiene, avendo parte al popolo di Dio, ognuno a suo modo, secondo i carismi e i ministeri, che lo Spirito ha affidato a ciascuno di noi.

Abbiamo dedicato il secondo giorno di Convegno per offrire una riflessione sulla centralità della Parola di Dio in una dimensione esistenziale. Al biblista, al teologo compete di farci avvicinare il più possibile al testo della Scrittura, non solo nel senso letterale delle parole, ma anche nella semantica del messaggio che l’agiografo, sotto la guida dello Spirito Santo, ha voluto che arrivasse a noi.

Nella mirabile pagina dell’Introduzione alla Filotea, San François Sales insegna che dobbiamo essere guardinghi verso il moltiplicarsi delle devozioni: “Di vera ce n’è una sola, ma di false e vane ce ne sono tante… La vera e viva devozione, Filotea, esige l’amore di Dio, anzi non è altro che un vero amore di Dio”[8].

Come già in Sinodo è stato deciso, dobbiamo rimettere la Parola di Dio al centro della nostra vita e, umilmente, imparare dalle giovani Chiese sorelle delle quali abbiamo ascoltato la testimonianza: ogni giorno, i cristiani sono chiamati ad avere un rapporto personale con Dio, che parla attraverso il Primo e il Nuovo Testamento.

 

  1. Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca[9]

Quest’oggi ci siamo impegnati al tema affascinante di passare il Vangelo alle generazioni nuove e di far riemergere la fede, che spesso è nascosta nel profondo delle coscienze degli aretini nostri contemporanei.

Credo che sia necessario anzitutto armarci della santa umiltà. Il giudizio sulla fede o non fede, se siamo buon grano o zizzania, compete agli angeli per mandato di Dio[10]. Nessuno di noi ha diritto di giudicare gli altri. Spesso il nostro clericalismo – sia di chierici che di laici – ha allontanato la gente dalla partecipazione alla Chiesa, che è di Cristo, non nostra: Ecclesiam Suam[11], scriveva Paolo VI nella prima enciclica rivolta alla Chiesa universale.

Le proposte dei convegnisti, ma soprattutto il dettato del Sinodo ci fanno riflettere, che solo attraverso l’umile esercizio della ministerialità riusciremo a far ponti con le persone, che ci è dato di incontrare nelle nostre famiglie o nella società. Se ognuno fa il suo, questa Chiesa può riprendere il largo e rinnovare la pesca evangelica. Sì, Signore, anche noi questa sera vogliamo ripetere con San Pietro “In verbo tuo laxabo rete”[12] – “sulla tua Parola getterò le reti”.

Chi davvero guida la Chiesa è Gesù e, al termine di questo gioioso Convegno di tre giorni, abbiamo viva la speranza che anche la nostra rete si riempirà di così tanti pesci, che, a mala pena, riusciremo a portarli a terra[13].

 

 

[1] 1Pt 2,5

[2] Ef 2, 19

[3] Ef 2, 20

[4] Gv 15, 1

[5] Gaudium et Spes, 1964

[6] Concilio Vaticano II, Lumen Gentium, capitolo VIII, n.63

[7] San Cipriano, Lettera 72 (a Papa Stefano)

[8] San François Sales, Filotea, Introduzione, capitolo 1, “Descrizione della vera devozione”

[9] Lc 5, 4

[10] Cfr. Mt 13, 38

[11] Paolo VI, Ecclesiam Suam, 1964

[12] Lc 5, 5

[13] Cfr Lc 5, 6 ss

 

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