«Il primo annuncio o kerygma deve occupare il centro dell’attività evangelizzatrice e di ogni intento di rinnovamento ecclesiale […]. Sulla bocca del catechista torna sempre a risuonare il primo annuncio: “Gesù Cristo ti ama, ha dato la sua vita per salvarti, e adesso è vivo al tuo fianco ogni giorno, per illuminarti, per rafforzarti, per liberarti”. […] Non c’è nulla di più solido, di più profondo, di più sicuro, di più consistente e di più saggio di tale annuncio. Tutta la formazione cristiana è prima di tutto l’approfondimento del kerygma che va facendosi carne sempre più e sempre meglio, che mai smette di illuminare l’impegno catechistico, e che permette di comprendere adeguatamente il significato di qualunque tema che si sviluppa nella catechesi. È l’annuncio che risponde all’anelito d’infinito che c’è in ogni cuore umano». Così papa Francesco nell’esortazione Evangelii Gaudium [164, 165].
Eppure, non possiamo fare a meno di constatare come la narrazione cristiana sembri essere uno dei grandi racconti che non interessano più gli uomini del nostro mondo occidentale. La crisi dell’annuncio è esplosa nel XIX secolo, un tempo molto difficile per la Chiesa, caratterizzato dalla progressiva separazione tra religione e cultura. In realtà, il rifiuto non riguardava Dio, ma il linguaggio dottrinale che impediva di rendere significativo il Vangelo; non era tanto la cultura a rifiutare la Chiesa quanto quest’ultima che si allontanava dalla cultura.
Per questa ragione, prosegue il Papa, «la centralità del kerygma richiede alcune caratteristiche dell’annuncio che oggi sono necessarie in ogni luogo: che esprima l’amore salvifico di Dio previo all’obbligazione morale e religiosa, che non imponga la verità e che faccia appello alla libertà, che possieda qualche nota di gioia, stimolo, vitalità, e un’armoniosa completezza che non riduca la predicazione a poche dottrine a volte più filosofiche che evangeliche. Questo esige dall’evangelizzatore alcune disposizioni che aiutano ad accogliere meglio l’annuncio: vicinanza, apertura al dialogo, pazienza, accoglienza cordiale che non condanna».
Questi temi, che fondano l’impegno dell’evangelizzazione, sono al centro del convegno catechistico regionale, che si svolge ad Arezzo, presso il Seminario vescovile, venerdì 17 e sabato 18 gennaio e intitolato La grande bellezza della fede. Narrare il kerygma nel tempo del cambiamento.
Il pomeriggio di venerdì 17 si aprire alle 16 con la celebrazione del vespro presieduta dall’Arcivescovo, che rivolgerà anche un saluto ai convegnisti; segue l’introduzione ai lavori del convegno, da parte di mons. Simone Giusti, vescovo di Livorno, delegato Cet per l’evangelizzazione e la catechesi. Segue la riflessione teologica fondativa, sul tema Kerygma e rilevanza della fede tra teologia ed estetica narrativa, affidata al fiorentino don Francesco Vermigli, mentre il catecheta don Luciano Meddi proporrà alcune scelte pastorali di fondo nel contributo dal titolo Tempo spazio mistero. Ripensare il percorso educativo alla luce della velocità del cambiamento.
Il sabato mattina vede i rappresentanti delle diocesi toscane confrontarsi con alcune esperienze di annuncio incentrate sulla persona (Pisa, i primi anni dell’Iniziazione cristiana; Livorno, la professione di fede; Firenze, la Parola di Dio al centro; Arezzo, l’annuncio con le persone disabili).
Il convegno intende avviare una riflessione che dovrebbe condurre a ripensare tempi, spazi, categorie e modalità dell’annuncio e dovrebbe proseguire nelle diocesi toscane, che sono invitate a presentare alcune proposte di ripensamento dell’annuncio nella prospettiva di quanto maturato nella due-giorni aretina.