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Omelia dell’Arcivescovo per la festa delle Sante Flora e Lucilla

27/07/2020 / Michele Francalanci / Notizie
  1. Una crisi e una rinascita

Che dopo una grave crisi ci sia una rinascita succede sempre e dovunque. Succede anche ad Arezzo e alla comunità cristiana di questa bellissima, incantata Città, che è rimasta come stordita dalle vicende che hanno sovvertito usi e costumi. Hanno coinvolto perfino le nostre più radicate tradizioni cattoliche.

Anche solo poco tempo fa sarebbe stato difficile pensare che noi preti avessimo prima a dire di non andare in chiesa: per non affollare, per non creare assembramenti e altre cose del genere che tutti sappiamo.

Ora tocca però far sapere alla gente che i cristiani alla Messa partecipano, cioè hanno attiva parte: non la guardano, non l’ascoltano a meno che non siano malati o infermi o tanto vecchi da non potersi muovere. Già Pio XII di santa memoria aveva consentito la Messa per radio e televisione, solo per chi non riuscisse proprio ad andare in una chiesa la domenica[1].

Cosa ne sia della pandemia non è cosa di noi preti: tocca lasciarlo dire ai politici. La Chiesa, invece, vuol ridire a tutti che per aver parte alla cena del Signore bisogna starci. Chi non capirebbe che a cena si va seduti a tavola a cibarci non solo di parole che ti cambiano la vita, ma anche del Corpo e Sangue di Cristo? Da che il Signore è Risorto, il giorno dopo il Sabato i cristiani si sono sempre ritrovati insieme. Fedeli al comando di Gesù Cristo hanno rivissuto ogni Domenica la cena pasquale, come fedelmente racconta San Giustino Martire. Non ci furono guerre né pestilenze né persecuzioni a impedirci di andare alla Messa.

Con il sistema mediatico, lutti, tribolazioni, paure sono arrivati ovunque, anche in ogni cantuccio della nostra Città. Ora occorre costruire il nuovo.

 

  1. Perché solennizzare la Festa delle Sante Flora e Lucilla

Il nostro grande Vescovo Giovanni, che aveva lavorato per decenni a favore della pace tra Impero e Papato, sul finire della vita si rese conto che, dalla crisi che stava devastando la cristianità, si poteva uscire soltanto rafforzando le comunità locali. La sua forte presenza in Arezzo dall’882 all’898 gli fanno sperimentare che occorrevano dei segni per risvegliare la fede degli aretini.

Il Vescovo Giovanni, avvalendosi della stima che godeva presso Papa Giovanni IX, gli chiese di portare in Arezzo i corpi delle Sante Flora e Lucilla, che Papa Benedetto III, trent’anni anni prima, aveva affidato provvisoriamente all’omonimo Monastero sul Monte Amiata.

Il senso dell’operazione fatta dal Vescovo Giovanni a nostro favore fu di riproporre ai cristiani d’Arezzo, nelle due Sante romane, i temi della verginità e del martirio, cioè la dimensione soprannaturale della vita di fede e la resistenza al male fino alla morte.

Nella storia della nostra Città queste giovanissime fanciulle dal nome di “primavera”, Fiora, e da quello di “piccola luce”, Lucilla, sono il tema della riflessione di questa sera.

 

  1. Sulle orme degli antichi Vescovi aretini

         Nella Città assonnata e stremata dal caldo mi piace salutare con gioia il gesto di culto pubblico che stiamo facendo sulle orme degli antichi Vescovi aretini. Parlare per immagini ed esprimersi con i simboli fu consueto nel mondo tardo antico e anche nell’Alto Medioevo. Santa Fiora è il segno della rinascita. La fede cristiana del nostro popolo è ancora capace di avviare una fase nuova della propria millenaria storia.          Certamente, per ottenere questa Grazia del Cielo occorre chiederlo. Ecco perché di un gesto pubblico di preghiera e il tentativo di muovere a responsabilità tutti quanti i cristiani qui convenuti, ma anche quelli che avranno notizia di questa preghiera. Ci rivolgiamo agli uomini e alle donne di buona volontà, perché ciascuno faccia il suo per uscire e far uscire gli altri dal torpore, che blocca tutte le nostre iniziative. Ho chiesto ai miei Parroci di curarsi dei ragazzi, non solo con le attività oratoriali, ma anche con i Sacramenti di Iniziazione cristiana. Occorre riprendere le Comunioni e le Cresime.

Nel Suburbio più orientale della Città vogliamo ripeterci che il sole di Cristo torna a risplendere, se ciascuno dei presenti si vorrà far carico di portare la sua piccola luce.

In quest’anno in cui non ci è stato consentito di adunare il popolo per Pasqua, queste Sante, che per secoli hanno rappresentato il segno pasquale della rinascita e della luce, riaffermano il diritto dei cristiani a fare pubblica professione delle proprie scelte, della propria fede. Mi piace pensare qui presenti tante piccole Lucille a confortare e dare speranza nelle famiglie, nella scuola, nella società aretina.

I gesti di questa sera, di pubblica espressione del culto cattolico fuori dalle chiese, sono i primi resi possibili in Arezzo dopo le chiusure, il lockdown e le miserie che ci hanno intrappolato per mesi, banditi fuori dalle nostre abitudini.

Vogliamo ringraziare le Autorità e tutto il Sistema Sanitario del nostro territorio per l’opera svolta, per le indicazioni fornite, per la prevenzione che ha quasi escluso il contagio dalla Terra d’Arezzo. Vogliamo anche assicurare la preghiera per i morti, anche per quelli che, venuti da lontano con i mezzi dell’esercito, hanno qua trovato la loro ultima dimora.

Il segno che stiamo facendo in uno dei linguaggi più tradizionali della religione cattolica ha in sé una carica rivoluzionaria. È come dire, con l’aiuto di Dio, il Risorto, che promettiamo di metter mano all’opera evangelica di dare nuova coscienza alle nove Parrocchie entro le Mura, alle undici che ne fanno corona, alle trentasei dei Suburbi, a cominciare proprio da Staggiano che, con Peneto, è il più vicino al sole che sorge.

Per intercessione delle Sante Flora e Lucilla e di tutti i nostri presenti in Paradiso, invochiamo la Benedizione di Dio perché ci riesce bene di costruire il futuro.

        

[1] Cfr. Pio XII, Miranda Prorsus, 8 settembre 1957

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