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Omelia dell’Arcivescovo in Cattedrale nel XXV della sua Ordinazione Episcopale

08/01/2021 / Michele Francalanci / Notizie
Venerati fratelli nell’Episcopato che generosamente siete a pregare quest’oggi con noi,
Cari sacerdoti del nostro presbiterio, Diaconi e Ministri qua convenuti:
il popolo di Dio ha voluto farsi presente nella Chiesa Cattedrale.
1. Epifania, manifestazione del Cristo e della Chiesa
I Re del lontano Oriente, scrutando le stelle, trovarono Gesù. Anche il nostro tempo conosce
un numero di persone in cerca del senso della vita, orientate potenzialmente a incontrare il Signore.
I Magi, giunti a Betlemme, furono le primizie del pellegrinaggio della fede che, di generazione
in generazione, avvicina gli uomini a Cristo luce del mondo.
La Chiesa ha la missione di incontrare tutti. Vi sono quelli che hanno la grazia, fin
dall’infanzia, di avere esperienza di Dio. Più complesso è non escludere nessuno, anche se certuni
sono convinti di trovare ovunque nemici. La Scrittura ci insegna che uno solo è il nemico, tutti gli
altri sono fratelli, ai quali proporre il Vangelo del Signore.
I cristiani d’oggi devono intercettare nelle incertezze della cultura liquida, i linguaggi giusti e
le occasioni opportune per dialogare con gli uomini e le donne alla ricerca di Dio.
Credo che lo stile giusto sia quello di San Paolo sull’Areopago. La nostra qualità di Apostoli,
pellegrini insieme ai tanti abitanti della Terra, non ha strategie pastorali, non si avvale di opportunismi
mediatici e neppure della ricerca di consenso. Ha rispetto verso tutti, non vuole prevaricare alcuno.
Trae coraggio dal “dare ragione della propria speranza”.
Quando il mio antico preside Carlo Maria Martini entrò, per la prima volta da Arcivescovo,
nel Duomo di Milano, aveva in mano solo il Vangelo di Gesù, nella certezza che lo Spirito Santo
sostiene la ricerca dei molti, servendosi del nostro ministero.
Oro, incenso e mirra, nella interpretazione dei Padri della Chiesa, significano la regalità di
Cristo, cioè che Dio ha un progetto d’amore capace di rimettere insieme tutta l’umanità.
Sono tanti, anche tra i non cattolici, coloro che riconoscono la divinità di Gesù Signore, anche
per vie non consuete, affascinati dalla persona di Lui, dalla bellezza del Vangelo, dalla coerenza della
passione. Se riuscissimo a raccontare il Signore senza il peso delle strutture della storia, troveremo
facilmente attenzione anche in quella parte non indifferente dell’Islam contemporaneo, che è venuto
a vivere da noi.
La mirra delle sepolture esprime che, senza sacrificare qualcosa, anche nelle rinunce di questo
tempo di pandemia, non si esce dalla cultura pagana, non si propone un nuovo umanesimo cristiano,
“Evangelium sine glossa” predicato da San Francesco e dai Santi riformatori della Chiesa medievale.
I Santi Magi sono l’icona dell’incontro sempre possibile con il mondo che “viene da lontano”,
ma è interessato come noi alla ricerca del buono, del giusto e del bello. La Chiesa è chiamata ad
accogliere tutti, a mostrare Gesù come Maria, la Madre di Dio, e come Giuseppe, custode del Signore
e del suo progetto.
2. Il Rapporto Chiesa mondo, la Chiesa aggregata per comunità e ministeri
La Dottrina agostiniana dell’Ecclesiologia di Comunione, con il Concilio Vaticano II, tornò
ad essere un irrinunziabile punto di riferimento. Nella Chiesa non ci sono spettatori, ciascuno di noi
ha un ruolo, una vocazione.
Già i Padri Apostolici, nell’analogia tra Chiesa ed Eucarestia, affermavano che non si dà il
pane se non dopo aver raccolto il grano, che va macinato e reso compatto con l’acqua. Il pane per
essere pronto a sfamare, deve passare attraverso il fuoco.
Sant’Agostino, illustrando l’Eucarestia e spiegando la Chiesa, insegna “voi stessi siete quel
che ricevete”.
Venticinque anni fa, in questo stesso giorno, Papa Giovanni Paolo, prima di ordinarci Vescovi,
ci esortava a ricordare: “con l’Episcopato, carissimi fratelli, Voi diventate in pienezza custodi del
Grande Mistero, Amministratori di quella Rivelazione di cui parla Paolo nella Lettera agli Efesini…
Ogni Vescovo è Ministro dei Misteri di Dio… nel quale Dio rivela se stesso, si avvicina agli uomini,
li cerca, conduce ciascuno nella Comunità della Chiesa sul cammino della fede”.
Anche oggi, custodire il Mistero non significa nasconderlo, ma trasmetterlo in risposta alla
vocazione alla fede di tutti i popoli della Terra. La complessità del Ministero del Vescovo è trovare,
assieme al Presbiterio e alla Chiesa che gli è affidata, i modi, i tempi, il linguaggio giusto per
avvicinare gli uomini del nostro tempo e far scoprire loro che Dio è vicino.
Già Isaia Profeta ci avverte che lo Spirito Santo muove i cuori di ogni generazione e ci invita
a guardare con coraggio la realtà, perché Dio si fa presente alle interiorità delle persone e, ancor prima
che arriviamo noi, infrange i muri del pregiudizio e costruisce i ponti. La Chiesa è un sistema infinito
di relazioni, di dialogo, perché è frutto della Parola.
A noi che annunziamo il Vangelo, ci è solo chiesto di accogliere: “I tuoi figli vengono da
lontano, le tue figlie sono portate in braccio”.
Il Santo Vescovo di Roma che mi ha ordinato, mettendo in pratica i principi di Gaudium et
Spes ci ha mostrato nei fatti che il rapporto tra la Chiesa e la comunità umana non devono essere
necessariamente conflittuali, anzi, nella ricerca della verità che appartiene a tutti gli uomini e le donne
dabbene, dobbiamo ritrovare la via dell’unità. Come insegna l’Aquinate, “Sacerdos propter
populum”. Non una Chiesa autoreferenziale che giudica e sentenzia, ma popolo di Dio che aggrega
con l’esempio, convince con l’Annunzio della parola bella, l’Evangelo che indica, come possibile, un
mondo migliore.
Con i Vescovi ordinati insieme a me siamo cresciuti con questa missione da realizzare, che
significa necessariamente cambiamento. Lo è già nei discorsi programmatici dei Papi, ma lo deve
essere nel rinnovamento di ogni Chiesa particolare. Occorre apprezzare tutto: i Padri hanno fatto
giungere fino a noi la fede, ma la Chiesa ci chiede di far fiorire i doni dello Spirito nel servizio
quotidiano. “Non recuso laborem”, come disse Martino di Tours, pur stanco delle fatiche, ma
desideroso di completare l’opera che Dio gli aveva affidato.
Papa Giovanni Paolo, che ebbi l’onore di servire per anni, a tutti noi Vescovi appena ordinati
chiese di non cercare l’applauso, il successo personale, ma, piuttosto, di guidare il popolo sulla
faticosa via del rinnovamento. Scriveva Gregorio Magno: “Spesso pastori non impegnati e in preda
a paura di perdere il favore popolare non osano proclamare liberamente la verità e, come avverte la
Verità stessa, non provvedono alla custodia del gregge con lo zelo dei pastori ma a guisa di
mercenari, perché al sopraggiungere del lupo si danno alla fuga, nascondendosi nel loro silenzio”.
Papa Giovanni Paolo, dopo avermi consegnato il pastorale con la formula di rito “Regere et
gubernare Ecclesiam Dei”, conoscendomi personalmente, mi dette un prezioso mandato: “fallo, che
lo sai fare!”. Tutte le volte che è stato necessario andare controcorrente, mi sono tornate alla mente
le parole del Santo, padre del mio episcopato.
3. San Giovanni Paolo II e il servizio nella Chiesa
In questi giorni, mi sono tornate alla mente alcune immagini evangeliche che hanno segnato
il mio cammino, nella quotidiana ricerca di equilibrio tra l’essere e l’agire: è la presenza all’aratro
nel Santo campicello del Signore, accanto alla gente: «Nessuno che mette mano all’aratro e poi si
volge indietro è adatto per il regno di Dio».
Uscendo da Pisa, mia Chiesa madre, raccolsi, come icona del servizio episcopale, la formella
che Bonanno Pisano aveva illustrato con la lavanda dei piedi. Non sono riuscito a essergli fedele, ma
l’intenzione era quella di offrire prossimità alla gente, ai piccoli, ai poveri, ai malati e ai senza lavoro.
“[Il pastore] non solo coltivi nell’anima retti pensieri, ma… inviti chi lo osserva a raggiungere i più
alti traguardi. Non abbia desiderio dei successi di questa vita né timore della avversità, si opponga
alle lusinghe del mondo tenendo conto di ciò che nell’intimo dà terrore e ne disprezzi le paure
seguendo l’attrattiva delle interiori dolcezze”.
Avrei certamente potuto fare di più e fare meglio. Molti ricordi mi tornano alla mente: sono
storie di grandi sofferenze, una specie di scuola che ho frequentato e che mi ha arricchito. Ho il dovere
di ricordarne almeno alcune, per dire grazie ai tanti che mi hanno aiutato a crescere un po’ con la loro
amicizia e credendo che la collaborazione è un dono della Divina Provvidenza. Negli altri ho potuto
vedere la forza della fede e la bellezza della Chiesa: è un grande onore poterla servire.
Il 26 settembre 1997, nel cuore della notte, il popolo mi ha fatto capire che era doveroso e
bello essere in mezzo ai terremotati di Verchiano. Poi il laicato della mia Chiesa mi chiamò a mettere
mano alla mensa e al dormitorio di Spoleto e alla fattoria della Misericordia di Eggi per provare a dar
da mangiare a chi non aveva nulla; ma soprattutto per trasformare i più miseri, abituati a essere di
peso agli altri, a diventar capaci, con dignità, di regalare la verdura e la frutta a tutte le case della
Caritas in Umbria. Che bella la comunione tra le 8 Chiese sorelle della terra dei Santi Benedetto e
Francesco! Poi la presenza in Macedonia e in Kosovo, durante la guerra, in fraternità con il Vescovo
Marco che reggeva quella Chiesa. Di nuovo in Thailandia per conto di Caritas Italiana in aiuto delle
vittime dello tsunami: tornare dove ero stato diplomatico a portare il segno della carità delle Chiese
italiane ai pastori dei pescatori senza terra, rifugiati di cui pochi sanno. La CEI per molti anni mi ha
inviato in Palestina con la Holy Land Coordination, rappresentando i Vescovi italiani, in quei luoghi
dove la pace non riesce a durate.
Arrivato ad Arezzo, al Sindaco che mi accoglieva in Piazza, chiesi la cittadinanza. Non fu un
gesto formale, ma la scelta di mettermi dalla parte degli immigrati, assieme all’impegno di spendere
per attivare servizi, perché fosse chiaro che la Chiesa punta su dare lavoro, non a fare soldi.
La Caritas, in questi anni, è stata la nostra pupilla dell’occhio. Con l’aiuto di Papa Francesco,
le Case Amoris Lætitia sono diventate realtà, assieme agli oratori e alle Unità Pastorali.
Ringrazio Dio per avermi voluto partecipe del sacerdozio di Cristo e successore degli
Apostoli. La centralità della Parola di Dio e la piena sintonia con il Vescovo di Roma sono le mie
gioie, accanto alla consapevolezza di quanto purtroppo sono inadeguato come Ministro della
Misericordia, ma ho con me un Presbiterio favoloso e multiforme, che assicura la vicinanza alla gente,
la vita sacramentale e anche la ripresa di una cultura significativa nelle scienze teologiche dei nostri
coraggiosi giovani preti, ma disposti a condividere la vita dei nostri poveri.
La luce di Cristo illumina il cammino di questa Chiesa che è bellissima, anche se costretta a
misurarsi con sfide dure e comuni con le Chiese sorelle. Viva Iddio siamo cattolici!
La scelta, raccomandata dal Papa di puntare sul laicato, ha generato il nostro Sinodo i cui frutti
sempre più risplendono, con l’impegno di molti e la condivisione di una Chiesa fondata sulla
comunione.
Talvolta tocca camminare in mezzo alla notte di cui Isaia 62 ci ha parlato, ma risuona
comunque il grido dei pastori, dei Magi e di tutti i credenti in ogni epoca: “Christus apparuit nobis,
venite adoremus!”
Chiesa-Giovane

Semi di speranza

  • Don Andrea Zalewski – Commento al Vangelo del 7 agosto 2022

    06/08/2022
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