Nell’età moderna si è pensato che la scienza fosse soprattutto orientata al dominio pratico sulla natura. Una scienza sempre più vicina alla tecnica, sino alla cosiddette tecnoscienze. L’ideale contemplativo della scienza così come si era definito in età classica a partire dalla Grecia antica è stato rifiutato.
Eppure il Settecento si apre in Inghilterra con una gazzetta che si chiama Spectator. Come ha scritto Starobinsky è una metafora legata alla gioia del vedere, una sorta di “empirismo contemplativo”.
Per Russell i filosofi devono assumere la curiosità intellettuale disinteressata che caratterizza il genuino uomo di scienza.
Per molti sociologi contemporanei prevale l’uso non contemplativo, ma politico e operativo, della scienza. Considerazioni di altra natura sono ritenute secondarie o ingenue.
Eppure alcuni vicoli ciechi imboccati dalle tecno scienze del XX secolo ci hanno insegnato che l’esclusivo ruolo strumentale del sapere non è in grado di guidarci verso una condizione umana migliore. L’aspetto contemplativo della scienza nella civiltà classica aveva in effetti un limite importante. Era la visione di una ristretta èlite intellettuali che non aveva bisogno di una applicazione tecnica del sapere scientifico perché godeva del lavoro degli schiavi che sopperivano alle sue esigenze. La rivendicazione del valore di persone insito in ogni uomo ho portato, dal medioevo in poi, a trovare nelle tecniche la strada nativa per liberare progressivamente l’uomo dalla pura fatica. Ma questo non significa che il sapere, a partire da quello scientifico, non abbia allo stesso tempo un autentico valore contemplativo.