Al di là del muro. Abuna Mario, ogni mattina esce dal seminario di Beit Jala, nei Territori Occupati palestinesi, dove ha scelto di abitare per condividere “almeno parte della sofferenza e la fatica dei palestinesi”, per recarsi a Gerusalemme, dove ha sede il Patriarcato latino. Attraversa il muro israeliano che circonda Betlemme, “non senza qualche problema di attesa, ma nulla in confronto a ciò che devono sopportare gli abitanti locali”, e va ad incontrare tutti quei gruppi e pellegrini che durante tutto l’anno arrivano in Terra Santa e che chiedono di incontrare le comunità cristiane locali. “Ma non sono una guida – si affretta a dire – mi adopero per far incontrare i pellegrini, ma anche gruppi, movimenti e associazioni interessati a lavorare con noi, con i rappresentanti delle chiese locali e promuovere in tal modo conoscenza e solidarietà. Il patriarca Twal è solito incontrare molti dei pellegrinaggi che arrivano e questo mi offre la possibilità di gettare la basi per futuri contatti e collaborazioni. Ci sono poi anche diocesi, parrocchie e gruppi che vogliono conoscere direttamente le nostre comunità ed allora cerco di organizzare momenti di incontro e celebrazioni”. Alla luce di questa esperienza pastorale, abuna Mario è certo che “le chiese italiane sono quelle tra le più impegnate e coinvolte con la Terra Santa. La Cei – dichiara – ci è di grande sostegno e conforto, materiale e spirituale e con essa le chiese locali, da sempre sensibili all’aiuto delle pietre vive dei Luoghi Santi. Ringrazio la mia diocesi che mi ha donato alla chiesa madre di Gerusalemme, spero che anche altre diocesi possano mandare i loro sacerdoti a prestare servizio in questa Chiesa. La Terra Santa ha bisogno di essere sostenuta, aiutata, stretta com’è tra muri e conflitti. Ha bisogno di ponti e di dialogo”.
La fede contagiosa. Dopo tre anni abuna Mario è “felice di servire la Chiesa patriarcale di Gerusalemme, dove sono stato ben accolto e dove ho tanti amici confratelli e laici. Ci sono tanti giovani sacerdoti in Terra Santa che ogni giorno affrontano dure prove per poter svolgere il loro servizio, impediti spesso a raggiungere Gerusalemme, le loro comunità, privati di permesso per spostarsi. Li vedi come affrontano quotidianamente la vita e vieni edificato dalla loro fede e dalla loro gioia contagiose. Nonostante le difficoltà, le fatiche mi sento un privilegiato a servire nella Terra delle origini della fede. E questa cosa la sento ancor più profondamente adesso che siamo nell’Anno della Fede. Ringrazio Dio per avermi dato questa possibilità e spero che tanti vescovi portino i loro sacerdoti in Terrasanta, non solo in pellegrinaggio ma anche per far vivere loro una esperienza di incontro e di condivisione con i nostri sacerdoti e le piccole comunità cristiane che tentano di sopravvivere. Sarebbe un dono per tutta la Chiesa, diocesana ed universale”.