Dal 25 al 29 novembre sono riuniti a Rio De Janeiro i delegati delle pastorali giovanili di tutto il mondo (200 da 75 nazioni) per il secondo incontro internazionale in preparazione alla Gmg.
Daniele Rocchi, inviato Sir in Brasile, ha raccolto la testimonianza del delegato della Terra Santa, dove le speranze della Chiesa sono legate a filo doppio al destino dei giovani.
Padre Jack Nobel Abed, parroco dei greco-melchiti di Taybeh, villaggio cristiano palestinese, sarà il capo gruppo del contingente palestinese alla Gmg di Rio. Alle spalle una lunga esperienza di Gmg, da Roma, in poi, fino a Madrid ed ora in Brasile. Per arrivare ha effettuato un viaggio di quasi 24 ore, lo stesso che faranno i giovani palestinesi per partecipare alla Gmg carioca.
“Sono note – spiega – le difficoltà cui sono posti i palestinesi a causa dell’occupazione israeliana. La preparazione per noi, non è solo spirituale ma anche logistica, visto le gravi difficoltà che abbiamo a muoverci sul territorio. Siamo costretti a transitare dalla Giordania per partire da Amman, con un notevole aggravio di denaro. Tuttavia non ci scoraggiamo, a Rio porteremo, questa è la nostra speranza, circa 150 giovani, provenienti da Galilea, Palestina e Giordania e appartenenti ai vari riti presenti in Terra Santa. Voglio sperare che, come accaduto in altre edizioni, potremo anche noi avere catechesi in arabo”. Abbracciare le difficoltà presenti, e forse anche future, è per questi giovani “un primo banco di prova, quotidiano, per la loro fede. Noi cerchiamo di fortificarli. Per la Gmg abbiamo preparato un cammino di preparazione che segue quello delle altre edizioni della Giornata alle quali abbiamo sempre partecipato. Abbiamo organizzato, nel corso dell’ultimo anno, diversi incontri necessari anche a far conoscere i giovani tra loro visto che sono di diverse zone, alcuni vengono dalla Galilea, altri da Betlemme, da Gerusalemme e così via”. La riflessione è tutta sul tema della Giornata, ovvero il passo di Matteo (28,19), “Andate e fate discepoli tutti i popoli!” e adesso sul recente Messaggio di Benedetto XVI. “I nostri giovani – racconta il parroco melchita – si stanno preparando molto bene per Rio, sanno cosa verranno a fare, cosa dovranno dire e soprattutto sanno che dovranno tornare in Palestina per testimoniare la bellezza della fede riscoperta e speriamo rinnovata grazie anche alla Gmg. Il Pontefice nel suo recente Messaggio invita i giovani a non avere paura di proporre Cristo ai loro amici e quindi di essere loro stessi missionari di amore e accoglienza”. Ma che significa essere evangelizzatore per un giovane palestinese? Per padre Abed si tratta di “una questione di fedeltà. In Palestina non possiamo vivere cristianamente senza essere fedeli. La fede è nata qui e non dobbiamo vacillare nemmeno davanti alle gravi difficoltà politiche, sociali ed economiche che abbiamo. La fede per noi è anche un tema identitario e di appartenenza sociale. I nostri giovani sanno di essere palestinesi cristiani e quindi chiamati a chiedere e a rivendicare il rispetto dei diritti e della dignità della persona umana. Lottiamo per i nostri diritti privilegiando il dialogo, il rispetto, la tolleranza. La nostra fede ci parla di Resurrezione”. “Formare i nostri ragazzi e giovani alla fede, perché siano testimoni fedeli di Cristo – conclude – è il modo previlegiato per far comprendere che la loro vocazione è quella di essere cristiani nella Terra di Gesù. Non possiamo testimoniare altrove, ma in Palestina. Qui siamo chiamati a vivere ed operare”.
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I giovani del perdono. Testimonianze da Terra Santa e da Nigeria