“In certi posti ci devi voler andare. «Quanto si ferma? Cosa va a fare? Conosce tutti i componenti del suo gruppo? Ha fatto lei la valigia? Che lavoro fa? Può aprire il bagaglio? Glielo chiedo per la sicurezza del suo volo». I controlli sono accurati, quasi paranoidi, ma la motivazione pellegrin-spirituale regge. La gentilezza degli addetti casca loro addosso male come le giacche troppo larghe che portano. […] la severità israeliana non fa sconti […]. Però in certi posti ci devi voler andare. Non sai quando ricapita.”

Tel Aviv, aereoporto “Ben Gurion”
E’ un impatto dolce-amaro quello di chi per la prima volta si imbarca, direzione Tel Aviv. I controlli della sicurezza israeliana lasciano addosso sempre un po’ d’ansia, anche a chi non ha nulla da nascondere. Ma, come dice Jacopo nel blog Wunderbar, in certi posti ci devi voler andare.
“Dopo tre ore le nuvole lasciano il posto al mare, che cede il passo alla terraferma, a Tel Aviv. E allora questa terra massacrata da poco meno di un secolo d’occupazione non sempre silenziosa la vedi.”
Jacopo è uno dei sette ragazzi della Valtiberina partiti due giorni fa alla scoperta della Terra Santa. Per lui è la prima volta in Israele ed il primo incontro-scontro con una realtà così lontana dalla nostra non è dei più semplici: i controlli, la diffidenza, il caldo, il traffico. Ma Jacopo è ben consapevole che è solo un primo ostacolo per riuscire a vedere cosa c’è dietro.

Haifa, Giardini Bahai
“Sono ancora molte le cose che stupiscono in Israele – scrive ancora Jacopo – Ti stupiscono i Giardini Bahá’í di Haifa, che scendono dalla sommità della città verso il porto con maniacale geometria di siepi ed alberi, fiori e statue, carezzate dai riflessi della lucente cupola dello shrine, la Casa Universale di Giustizia […] C’è anche il nuovo, quaggiù. Il wi-fi libero, praticamente ovunque, da Haifa ad Acri, che consente di fare un salto virtuale in patria.” Ad Haifa i ragazzi hanno trovato alloggio presso una struttura di accoglienza gestita dalle suore carmelitane. Il giorno dopo il cammino è ripartito da Acri, altra città portuale dove resiste l’antica Cittadella di epoca crociata.
Poi il percorso è diventato più “spirituale”: in Galilea, nel nord di Israele, i ragazzi hanno visitato Cafarnao, il Monte delle Beatitudini e Nazareth, luoghi della prima predicazione di Gesù.Il racconto di Jacopo prosegue: “E’ l’ora di rimontare in macchina e raggiungere Gerusalemme: attraversandola, si può entrare, poi, a Betlemme. Due ore che scorrono, e appare la tentacolare capitale «indivisibile» (peculiarità che le riconoscono solo gli ebrei stessi), dello stato d’Israele d’albionica matrice. […] Arriva il check-point: bisogna superarlo, passaporto alla mano, sotto gli sguardi comunque sospettosi dei militi armati di mitra. E poi, il Muro, che circonda per tre lati la guest house-albergo-ostello che ci ospita. Pochi metri, l’aria sembra ingenuamente diversa. […] Il filo spinato che circonda la veranda precede solo di qualche metro la pesantezza prepotente del Muro. Non sarà finita. Ora che ci sei davvero voluto venire, devi saper tollerare la visione di ciò di cui sentivi solo parlare.”

Betlemme, Casa del muro
La casa del muro appartiene a Claire Anastas, che ha deciso di aprire le porte a pellegrini per far capire cosa vuol dire vivere circondati dal muro di separazione, che si staglia su ben tre lati della struttura. “Non avrei mai pensato di aver voglia di rivedere questa casa che è stata accerchiata dal muro di divisione – racconta Francesco, che a casa di Claire c’era già stato, la scorsa estate con gli scout Valtiberina 1 – E’ stata una sensazione strana, ma voluta appositamente: era facile forse andare in uno dei tanti hotel. Qui si vive ogni volta quello che passa questa famiglia.”
Ed è proprio a casa di Claire che inizia la giornata di ieri, giovedì 28. All’alba. Ce lo racconta Jacopo: “Accanto al Muro le giornate iniziano presto e le notti finiscono ancora prima, grazie ai faretti che dal filo spinato puntano verso le finestre. E soprattutto quando nella caserma vicina, ma dietro i 9 metri di barriera, decidono di esercitarsi, hai visto mai scoppia un conflitto. Pazienza, non è l’ultima né sarà la prima delle sveglie antelucane. La padrona di casa, Claire, al piano di sopra già spadella la colazione per tutti, insieme al taciturno marito e ai due figli, già in tenuta scolastica. Una parvenza di normalità, non fosse che guardar fuori di finestra ti riporta bruscamente ad un presente fatto di oppressione fisica, burocratica e muraria.”
Da lì, i sette ripartono, zaini in spalla: devono incontrarsi con il gruppo del pellegrinaggio di giustizia dell’Associazione Pax Christi. Già, perché è il 1° marzo e qui in Palestina, come in tutto il mondo, si ricorda l’inizio della costruzione, nel 2004, del muro di separazione israeliano. Un triste anniversario, a dire il vero, ma ricordare è importante per sensibilizzare l’opinione pubblica. E pregare è fondamentale, per sperare che un giorno quest’ingiustizia finirà.

Gerusalemme, suq arabo nella Città Vecchia
Prima però, il gruppo si concede una visita a Gerusalemme, partendo dal Monte degli Ulivi. “Al di là del credo, è un posto che si fa sentire” riconosce Jacopo. “Gerusalemme Vecchia, del resto, vecchia lo è davvero. Nelle bancarelle del suq, nei suoi odori, nei banchi di fumo dei narghilé, nelle pietre dei vicoli, nei volti scavati e nelle barbe lunghe, nella nenia del muezzin che non conosce defezione. Fuori, sulle pietre che a tratti ricordano quelle di casa, è una ricchezza di sensazioni confuse e distinte che par quasi di poter mordere gli odori che scaturiscono ordinatamente dai sacchetti delle spezie, altrettanto geometricamente ordinati sugli scaffali.” D’obbligo la visita alla Basilica del Santo Sepolcro, dove “è facile perdersi, impossibile tirar dritto, sarebbe da codardi”.
Ed infine il Muro del Pianto: “Salutate le ragazze del gruppo (uomini e donne hanno sezioni divise del Muro tutta per pregare), c’è solo da prendere la kippah da turisti, taglia unica, molto kitsch, ed avvicinarsi alle schiene che si piegano contro i mattoni. Misteriosi come pochi: hanno assicurato sulla fronte un piccolo cilindro, nero come i lacci che portano avviluppati stretti alle braccia e si intersecano sulla nuca e ripetono la loro nenia religiosa ritmandola e scandendola mentre si flettono. Ed il sentirsi intrusi è tutt’altro che fuori luogo, tanto che dispiace quasi poterli riprendere.”
Ma il tempo corre veloce ed il programma è ricco di cose da vedere, realtà da scoprire, persone da conoscere. Si riparte. Ad aspettare il gruppo c’è Daniela Yoel, ebrea israeliana di Machsom Watch, movimento di donne, attiviste di pace, provenienti da tutte i settori della società civile israeliana, che si oppongono all’occupazione e rivendicano il diritto per i palestinesi di muoversi liberamente nei propri territori.

Daniela Yoel
Machsom Watch
Tramite l’osservazione e la documentazione della realtà quotidiana, queste donne cercano di influenzare l’opinione pubblica del Paese e del mondo intero, nella speranza di giungere alla fine di un’occupazione distruttiva “che causa danni alla società israeliana tanto quanto a quella palestinese.”
“Quando sono al check-point io vedo con i miei occhi. E i palestinesi mi sono riconoscenti – ha raccontato Daniela – Poi scrivo e pubblico con Machsom Watch i rapporti sulle ingiustizie di cui sono testimoni, così la gente non potrà più dire: “Non sapevo”. Le prossime generazioni devono conoscere. E anche i palestinesi devono sapere che ci sono tanti israeliani che vogliono la pace, che sono contro l’occupazione. Siamo come una piccola finestra. È nostro dovere essere lì».
“Daniela ha una linfa energica dentro che possiede solo chi sa che lottare contro i mulini a vento non è per forza un’utopia” commenta Jacopo. Nata da genitori polacchi emigrati in queste terre alle prime avvisaglie naziste è ebrea. “Per questo, alle nostre orecchie, suona strano che difenda i palestinesi. Colpa nostra, che poco ne sappiamo, colpa d’altri, che poco ne parlano.” Gli episodi che Daniela racconta suonano incredibili e disumani alle orecchie dei presenti: suonano incredibili e disumani: «Una donna palestinese, dopo quasi dieci anni di cure contro la sterilità, stava per partorire due gemelli. I soldati israeliani la bloccarono al check-point e la obbligarono a partorire per terra. Il primo nato morì subito, il secondo lo seguì poco dopo. La fecero passare solo quando era agonizzante sopra un’ambulanza, coperta di sangue e senza più lacrime.» Daniela lo sa che gli israeliani considerano lei e le sue compagne alla stregua di traditrici, ma si sente obbligata dalla storia del suo popolo: «Mi hanno insegnato a non tacere davanti ai torti fatti ad altri. Tutto il mondo taceva di fronte alla perdizione della mia gente: adesso non posso tacere quando vedo il mio esercito, l’esercito del mio Paese, che perseguita i palestinesi.»
Casomai la testimonianza di Daniela non avesse già messo il carico da novanta sugli animi dei presenti, la lunga giornata prevede un ultimo, significativo incontro: quello con Suor Alicia Vacas, delle missionarie comboniane di Betania, sobborgo di Gerusalemme, che dal 2002 il Muro separa dalla comunità della Città Santa.

Suor Alicia Vacas
Missionarie Comboniane
Inserita in un contesto di massima instabilità politica ed immersa nell’intricato conflitto arabo-israeliano, la comunità di Betania si alza all’ombra del Muro di Sicurezza che segna la vita degli abitanti del quartiere e separa la comunità dal villaggio. Prima della costruzione del Muro, la maggior parte dei suoi abitanti lavoravano a Gerusalemme. La difficoltà per ottenere i permessi è alla base di una dura crisi economica e sociale nella zona, aggravata dei problemi di accesso ai servizi educativi e sanitari. Gli abitanti di Betania sono in maggioranza musulmani. La piccola comunità cristiana soffre doppiamente le conseguenze di questa situazione, che si protrae nel tempo.
“Ci ha prima raccontato la sua esperienza di sopravvivenza del popolo dei beduini, poi quella dei bambini a cui è stato negato il passaggio per oltrepassare il muro – riporta Francesco – Due storie agghiaccianti che raccontate da chi le vive in prima persona fanno un altro effetto. Praticamente dal giorno al domani nel convento delle suore Comboniane hanno costruito il muro in mezzo al giardino costringendo i bambini della materna a fare ben 22 km per andare all’asilo.” Bambini che da quaranta sono rimasti solo in cinque. Suor Alicia, insieme ad una consorella, ha deciso di rimanere vicino ai propri fedeli, abbandonando le comodità dell’istituto e trasferendosi al di là del Muro. «Sono solo diciotto chilometri da percorrere» scherza con i ragazzi, mentre dal tetto del convento indica loro la finestra della sua stanza, al di là del gigante di cemento.
Oggi, venerdì 1° marzo, i ragazzi e i pellegrini di Pax Christi si uniranno alla comunità cattolica locale per l’annuale appuntamento con “Un Ponte per Betlemme”, giornata internazionale di preghiera e sensibilizzazione contro il Muro di separazione israeliano.

Betlemme, la vista dalla Casa del Muro
IL PROGRAMMA DEI PROSSIMI GIORNI:
Venerdì 1 Marzo: Anniversario del Muro
- Visita Betlemme: Campo dei Pastori, Grotta del Latte, Basilica della Natività
- Visita dei nostri amici di Casa del Bambino Gesù (Hogar Niño Dios)
- ore 15,00: Cremisan per S. Messa di resistenza sotto gli ulivi minacciati dalle ruspe
- ore 17,00: marcia fino al Muro e rosario con gli abitanti di Beit Jala
- Visita di Betlemme e cena alla tenda dei Beduini
- pernottamento alla “casa del muro”
Sabato 2
- ore 9: Università di Betlemme con Sami Basha
- partenza per la città di Ramallah e pranzo con Abuna Raed in parrocchia
- cena e pernottamento alla “casa del muro”
Domenica 3
- ore 9,00: partenza per Ein Gedi (Mar Morto) 85km
- ore 10,30: arrivo e visita città
- partenza per Hebron
- arrivo, pranzo e visita città
- rientro a Betlemme (37 km) 1 ora
- cena e pernottamento alla “casa del muro”
Lunedì 4
- Spostamento per Gerusalemme
- Visita di Gerusalemme: Monte Sion, Cenacolo, Monte degli Ulivi, Ascensione, Getsemani.Possibilità di incontro con il Patriarca mons. Fouad Twal
- Pranzo nel Suq di Gerusalemme
- Spostamento per Tel Aviv
- Cena a Tel Aviv
Martedì 5
- ore 6.05 partenza da Tel Aviv
- ore 9.00 arrivo a Roma
Gli articoli precedenti sul viaggio:
1. Viaggi di pace: i giovani della Valtiberina in Terra Santa
Gli articoli successivi:
3. Viaggi di pace: la marcia all’ombra del Muro
4. Viaggi di pace: si torna a casa, oltre muri e check point