E’ appena terminata l’udienza generale di papa Francesco in piazza San Pietro. Caloroso il saluto portato al Pontefice dai fedeli della Diocesi di Arezzo-Cortona-Sansepolcro accorsi in gran numero per l’appuntamento. Mons. Riccardo Fontana ha abbracciato per la seconda volta il Santo Padre, dopo il primo incontro avvenuto in occasione della Visita ad limina. Adesso il programma del pellegrinaggio prevede intorno alle 15.30 la celebrazione della Santa Messa al Santuario della Madonna del Divino Amore. La diretta di TSD riprenderà alle 15 con il direttore Andrea Fagioli, che avrà come ospite in studio il prof. Maurizio Schoepflin, docente di filosofia.
PER APPROFONDIRE
La storia del Santuario della Madonna del Divino Amore
«Non conosco città grande, la quale non abbia vicino o lontano un Santuario: Santuario di Roma è la Madonna del Divino Amore». Con queste parole nette e definitive, nell’ormai lontano 1945, un grande innamorato del Divino Amore, Don Giuseppe De Luca, riaffermava il carattere eminentemente romano del Santuario.«Divino Amore» è un nome che ancora oggi a Roma si sente ripetere spesso, e non sempre in maniera conveniente. Ma si tratta di un destino comune a tutto ciò che realmente fa parte della vita quotidiana, che è carne e sangue, gioia e dolore, fatica e trepidazione. E poche cose, come il Divino Amore, appartengono al popolo romano, che, pur avendo in città a disposizione più di mille chiese, quando ha da confidare una pena, chiedere una grazia, o semplicemente far benedire l’automobile nuova, si rivolge alla Madonna del Divino Amore.
Nobile e plebeo, come la città alla quale è strettamente legato, il Santuario del Divino Amore è il Santuario di tutti. Ma in particolare dei più semplici, degli abitanti delle grandi e desolate periferie della capitale e delle vivaci cittadine dei Castelli Romani. «Il popolo, si dirà, il popolo non capisce cose tanto sublimi», affermava Don Giuseppe De Luca in aperta polemica con quanti, clero e intellettuali, allora storcevano il naso di fronte alla fede semplice ed essenziale del popolo. «Ma le cose autenticamente sublimi – proseguiva Don De Luca – sono le più piane, le più facili, le più quotidiane, e il popolo dei fedeli potrà non saperle formulare, potrà non afferrare i concetti e nemmeno le nozioni, ma le capisce talmente che le vive, se è un popolo buono. Il popolo va infatti al Divino Amore, e chi non ci va sdegna d’essere popolo e storce il muso».
Da sempre quello che accorre al Divino Amore è infatti il popolo festante e «caciarone» delle processioni, dei colori sgargianti delle feste paesane, dei sapori forti delle scampagnate «fuori porta». Con facilità, è vero, mescola sacro e profano, presta poca attenzione ai progetti e ai programmi pastorali della Chiesa locale, ma è anche il popolo che, anche oggi in un contesto di profonda secolarizzazione, si segna con la croce davanti all’immagine della Madonna, ascolta con composta serietà, quasi con venerazione, le parole del prete dall’altare, frequenta i sacramenti, obbedisce ai comandamenti, riconosce la Chiesa come sua Madre. Come tutti, questo popolo, potrà tradire, allontanarsi, ma sempre, come il Figliol Prodigo, per infine ritornare, accendere una candela, battersi il petto e recitare un’Ave Maria. È un popolo che sta ai dati essenziali del catechismo, e che è istintivamente allergico ad ogni supplemento intellettualistico della fede. «Il popolo non sa – affermava ancora don Giuseppe De Luca – ma questo non vuol dire che il popolo sia fuori della vita cristiana. La vita cristiana non è cultura, nemmeno è cultura cattolica. La vita cristiana essenzialmente è conoscere Dio e amarlo. Chi sappia tutto questo, anche se non lo sa altrimenti che adempiendolo, sa tutto».