Oggi alle 19.30 e 21.20 va in onda la puntata n. 72 di “Mappe. Spunti per comprendere dove siamo”, programma ideato e condotto da Anselmo Grotti con la collaborazione di Ilaria Vanni. La puntata si intitola “Economia del dono”.
Francesco d’Assisi, perché amante di ‘madonna povertà’, è anche all’origine di importanti cambiamenti economici, teorici e pratici. Il movimento francescano diede vita alla prima importante scuola di pensiero economico, ed è anche all’origine della tradizione di banca e di finanza (gli ormai famosi Monti di Pietà, i prodromi della finanza popolare e solidale italiana). Non si ricorda però a sufficienza che queste istituzioni bancarie popolari fiorirono due secoli dopo una profonda e sistematica riflessione culturale e filosofica su economia, moneta e mercato. Olivi, Scoto, Occam, e decine di altri maestri francescani, furono dottori anche di economia, perché colsero, per istinto carismatico, che dovevano studiare le res novae del loro tempo, dovevano riflettere profondamente sui grandi cambiamenti della loro epoca, quando stava iniziando una grande rivoluzione commerciale e cittadina che poi fiorì nell’Umanesimo civile. Studiarono economia per amore della loro gente, soprattutto dei poveri. Il primo messaggio che ci proviene da Francesco e dal suo movimento carismatico è il significato morale e civile dello studio e della scienza. Questa crisi ci sta dicendo ogni giorno con maggiore forza che l’economia e la finanza ad una sola dimensione (quella dei profitti di breve periodo) produce disastri e disumanesimo (Cipro è l’ennesimo segnale).
Ma mentre la crisi continua a mietere le sue vittime, in tutte le università si continua a studiare e ad insegnare la finanza e l’economia retta dagli stessi principi che hanno causato queste crisi. I libri di testo sono gli stessi, i dogmi e la spocchia imperialista di noi economisti sono gli stessi del pre-crisi, i nostri migliori studenti continuano a formarsi in scuole di dottorato con gli stessi programmi del 2007.
C’è un estremo, vitale, bisogno di dar vita a nuovi istituti di ricerca e a nuove università dove si possano studiare diversamente contenuti diversi da quelle che continuano ad insegnare i templi del sapere, molti dei quali finanziati dai proventi di questa finanza. C’è bisogno di nuovi studia e nuove scholae dove si produca ad alto livello pensiero economico e sociale diverso, e poi di scuole popolari che diffondano e alimentino con la vita quel nuovo pensiero a tutti i livelli: dove sono? Se non lo faremo, continueremo a lamentarci della crisi e della disoccupazione, ma non saremo all’altezza di Francesco e dei francescani che lavorarono per orientare la società del loro tempo, anche con idee e scienza nuove.
La nostra cultura non ha strumenti adeguati per affrontare le antiche e nuove povertà non scelte, perché ha perso contatto con le semantiche della bella povertà scelta, che si chiamano stili di vita sobri, solidali, soprattutto comunione conviviale e fraterna.
Francesco ci ricorda che solo chi ama la buona povertà sa prima vedere, e quindi combattere, quella cattiva. Finché i programmi governativi, pubblici e privati di lotta alla povertà saranno pensati e implementati da funzionari che alternano convegni sulla povertà a vacanze da ricchi epuloni, la povertà continuerà ad essere oggetto di studi (spesso inutili), report e convegni, ma né vista né capita, quindi non curata.
L’economia del dono non è quella del baratto.
Il dono mette in moto un processo del tutto diverso rispetto allo scambio di un oggetto o di un servizio. Chi è stato destinatario del dono non è in questo caso “costretto” a ricambiare in qualche modo. Ma è invitato ad aprirsi alla prospettiva di fare a sua volta un dono a qualcun altro. In tal modo l’effetto di un singolo dono ha potenzialmente la capacità di giungere a ogni abitante della terra. È la dinamica più profonda che accade nelle relazioni umane: generare una nuova vita e accudirla affinché essa a sua volta sappia generare e accudire altre vite, non solo la nostra. È augurabile che il figlio si prende a cuore il genitore anziano, ma il genitore non genera il figlio principalmente per questo. Ma per offrire nuovi sentieri alla vita.
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