Sono passati tre anni da quando le due parti del conflitto israelo-palestinese si sono sedute intorno ad un tavolo per cercare una soluzione. E’ successo di nuovo ieri sera, a Washington, grazie all’impegno del Segretario di Stato Usa John Kerry, che negli ultimi mesi ha fatto la spola tra i leader dei due Paesi, cercando quei termini minimi necessari per riavviare i negoziati di pace. Il che non vuol dire che la pace ci sarà. E’ solo il primo, piccolo passo di un lungo percorso che negli ultimi decenni è stato intentano molte volte, senza però i risultati sperati. Comprensibile, dunque, lo scetticismo di molti. Lo stesso Kerry, in una breve conferenza stampa, aveva dichiarato di essere cosciente “che i negoziati saranno duri, ma anche che le conseguenze di non provare a trattare sarebbero peggiori”. Ha fatto eco Obama, ammettendo che “il lavoro più difficile in questi negoziati deve ancora venire”. “Io spero – ha dichiarato il Presidente degli Stati Uniti in una nota stampa – che sia gli israeliani che i palestinesi lo affronteranno in buona fede, impegno e determinazione. Gli Stati Uniti sono pronti a sostenerli nel corso di questi negoziati che hanno l’obiettivo di ottenere due stati, che vivono uno accanto all’altro in pace e sicurezza.”
Al tavolo dei colloqui si sono seduti il Ministro della Giustizia ed ex ministro degli Esteri israeliano Tzipi Livni ed il capo-negoziatore palestinese Saeb Erekat. A moderare, in rappresentanza degli Stati Uniti, l’ex ambasciatore in Israele Martin Indyk, che ieri sera ha dichiarato: “Forse questa volta possiamo davvero farcela”.
In realtà quelli di Washington sono solo colloqui preliminari per decidere tempi e luoghi di riavvio delle trattative, che dovrebbe tenersi in Medio Oriente ed andranno ad affrontare i nodi più spinosi della questione, dai confini di un futuro stato palestinese al futuro dei rifugiati, passando ovviamente per lo status della città di Gerusalemme.

Il presidente palestinese Mahmud Abbas e il premier israeliano Benjamin Netanyahu
Il tempo minimo per farlo sono i nove mesi che Kerry è riuscito a strappare al premier israeliano Benjamin Netanyahu e al presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese Mahmud Abbas. Il primo ministro di Tel Aviv ha già messo in chiaro, tuttavia, che qualsiasi accordo venga raggiunto con i palestinesi, verrà sottoposto ad un referendum popolare prima di essere approvato in via definitiva. Una condizione che non sembra bastare all’opinione pubblica israeliana, che si è duramente scagliata contro la ripresa dei negoziati ed in particolar modo contro la decisione di Netanyahu di liberare 104 prigionieri palestinesi detenuti da prima degli accordi di Oslo nel 1993, come segno di apertura al dialogo. Proteste anche dall’altra parte del Muro, nei Territori Palestinesi: a Ramallah, 12 chilometri a nord di Gerusalemme, si registrano duri scontri tra manifestanti e forze dell’ordine.
Scetticismo è stato chiaramente espresso anche da Ilan Pappé, storico e scrittore israeliano, che in un’intervista a Il Manifesto, ha dichiarato: “Non credo assolutamente che questo nuovo tentativo porti da qualche parte, come i precedenti […] Perché parte dalle stesse basi, ossia che è meglio avere un processo (di pace) che non averlo. Anche se questo processo non produrrà nulla. Per questa ragione non c’è alcuna spinta reale per israeliani ed americani a fare e a dare di più per arrivare a risultati concreti.”
LA CRONOLOGIA DEGLI EVENTI:
1993 – 13 settembre: dopo 6 mesi di negoziati indiretti segreti a Oslo, Israele e l’Olp si riconoscono a vicenda e firmano una Dichiarazione di principio su autonomia palestinese transitoria di 5 anni. Stretta di mano storica fra il premier israeliano, Yitzhak Rabin, e il leader palestinese Yasser Arafat.
1994 – 4 maggio: accordo sull’autonomia di Gaza e Gerico (Cisgiordania) patrocinata dall’Egitto. Israele si ritira dal 70% della Striscia di Gaza e dall’enclave di Gerico.
1995 – 28 settembre: accordo Oslo II a Washington: estensione dell’autonomia palestinese alla Cisgiordania. 2
1998 – 23 ottobre: Wye Plantation (Usa), accordo provvisorio sul ritiro israeliano dal 13% della Cisgiordania.
2000 – 11-25 luglio: vertice di Camp David patrocinato da Bill Clinton: Arafat e il premier israeliano, Ehud Barak, non trovano un accordo sui problemi del rientro dei profughi palestinesi e dello status di Gerusalemme. Settembre: scoppia la seconda Intifada palestinese.
2001 – Gennaio: discussioni israelo-palestinesi a Taba (Giordania), mediate da Clinton: nessun risultato.
2003 – 30 aprile: presentata la ”Road Map” del Quartetto: prevede la fine della violenza palestinese e della colonizzazione ebraica e la creazione di uno stato palestinese entro il 2005.
2007 – 27 novembre: Annapolis (Usa). Israele e Anp d’accordo per raggiungere un accordo di pace entro il 2008.
2008 – Dicembre: Israele lancia l’operazione militare ‘Piombo Fuso’ contro gli islamici di Hamas nella Striscia di Gaza. L’Anp rifiuta di riprendere le trattative.
2010 – 2 settembre: ripartono negoziati indiretti a Washington. Ma il dialogo fra il presidente palestinese Abu Mazen e il premier israeliano Benyamin Netanyahu s’interrompe dopo che Israele riprende la colonizzazione dei Territori occupati malgrado le sollecitazioni Usa per uno stop. 7 dicembre: marcia indietro di Washington sulla richiesta di congelamento preventivo delle colonie da parte di Israele nei Territori occupati.
2011 – 19 maggio: il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, si dichiara pubblicamente a favore di uno Stato palestinese fondato sui confini del 1967, vale a dire, la Cisgiordania, la Striscia di Gaza e Gerusalemme est, con limitate correzioni sulla base di scambi di territori concordati. Netanyahu, però, esclude qualsiasi ritiro sulle linee del 1967.
2012 – 17 aprile: Abu Mazen rinnova la richiesta a Israele di riprendere i negoziati sulla base delle linee di confine precedenti la guerra dei Sei giorni del 1967 e del congelamento degli insediamenti, incluso a Gerusalemme Est.
2013 – 30 aprile: la Lega Araba riformula la sua iniziativa di pace del 2002 relativa al principio di uno scambio di territori tra Israele e palestinesi, sotto l’egida degli Stati Uniti. 19 luglio: al termine della sua sesta visita nella regione, il segretario di Stato, John Kerry, annuncia di essere giunto ad un accordo di base per la ripresa dei negoziati. 28 luglio: il governo israeliano approva la liberazione di 104 prigionieri palestinesi. Annuncio formale della ripresa dei negoziati a Washington.