La 68esima Assemblea Generale dell’ONU si è aperta martedì 24 settembre a New York in un contesto internazionale teso. L’attenzione è rivolta alla crisi, ma sul tavolo ci sono anche il dossier nucleare iraniano e le trattative di pace tra Israele e Palestina. Cristophe Lafontaine ha fatto il punto della situazione intervistando mons. William Shomali, Vicario patriarcale a Gerusalemme.
Il presidente iraniano ha ribadito che il suo paese non è una “minaccia” né per il mondo, né per la regione del Medio Oriente. Questi tentativi di pacificazione suscitano una speranza prudente presso i diplomatici occidentali, ma non hanno per niente conquistato le autorità israeliane. “Questo intervento rispecchia esattamente la strategia iraniana che consiste nel parlare e nel guadagnare del tempo per fare crescere le proprie possibilità di acquisire armi nucleari” ha affermato Benjamin Netanyahu. Lei pensa che una chance può essere comunque data alla diplomazia?
Hassan Rohani, abile politico, vuole certamente guadagnare del tempo e continuare il suo programma nucleare. Gli occidentali hanno ragione ad avere i loro dubbi. Ma non ci si dovrebbe fermare in questi circoli viziosi dove la menzogna ha una grande parte. Bisogna risolvere il problema iraniano in maniera radicale. Ciò che si dovrebbe fare è ripulire il Medio Oriente da ogni programma nucleare. Perché una bomba, sia essa indiana, pakistana, iraniana o israeliana è una bomba atomica distruttrice. Degli sforzi devono essere fatti per impedire i programmi nucleari e la fabbricazione di armi chimiche. D’altra parte bisogna risolvere tutti i problemi politici che portano all’uso di tali armi.
Un ritorno dell’Iran nel consesso delle nazioni potrebbe aiutare a mettere fine alla tragedia siriana ?
L’espressione “mettere fine” è pretenziosa. L’Iran è certamente un elemento essenziale del conflitto, ma non è che un elemento alla stregua della Russia o di Hezbollah che danno aiuto alla Siria. La soluzione buona dovrebbe anzitutto venire dall’interno della Siria, dagli stessi Siriani una –necessaria – pressione internazionale. Per questo bisognerebbe seguire diverse tappe nell’ordine seguente:
- Decretare un cessate il fuoco immediato
- Impedire l’entrata delle armi in Siria
- Preparare il terreno per delle elezioni libere e trasparenti
- Accettare i risultati di queste elezioni
In questa visione l’Iran avrebbe un ruolo da giocare perché, in quanto amico della Siria, potrebbe esercitare un’influenza positiva nell’instaurazione di un cessate il fuoco.
Qual’è la sua opinione sul temporeggiamento occidentale riguardo ad un intervento militare in Siria?
Capisco che ci possono essere state delle esitazioni da parte degli Stati Uniti e dell’Europa per diversi motivi. In primo luogo per un motivo etico: non si era ancora verificato chi erano gli autori di questi attacchi chimici. Non si può quindi attaccare qualcuno senza aver provato la sua colpevolezza. D’altra parte se si fosse trattato dei ribelli, l’Occidente avrebbe deciso di attaccare? Inoltre c’è il motivo della paura: di fronte all’escalation della violenza e ad una conflagrazione regionale. Infine il terzo motivo concerne il veto russo e cinese e l’astensione del parlamento inglese che ha frenato Obama stesso.
Parlando a livello più spirituale, la partecipazione di milioni di fedeli alla giornata di preghiera e digiuno, voluta da Papa Francesco, che si è svolta sabato 7 settembre, ha avuto un impatto sui politici. Dio agisce in modo invisibile e imprevedibile.
Obama e Hollande vogliono strappare ai Russi una risoluzione contenente una minaccia chiara di uso della forza in Siria se Assad non manterrà le sue promesse di eliminare le armi chimiche. Pensa che abbiano ragione?
Se guardiamo i fatti con gli occhi di Hollande e di Obama, arriviamo alla conclusione che bisogna utilizzare la forza contro Assad. Ma questa visione presume che Assad sia un dittatore, ovvero la causa di tutti i mali in Siria e che bisogna eliminarlo, ad ogni costo. La storia delle armi chimiche in realtà non è che un buon pretesto per essi per attaccarlo ed in seguito sopprimerlo. Non è questo un mezzo per indebolire l’Iran e Hezbollah, grandi nemici degli Stati Uniti? D’altra parte Hollande e Obama non vogliono riconoscere che il loro approccio alla questione siriana non è obiettivo. E’ vero che Assad è un dittatore, ma resta moderato a confronto di altri dittatori del Medio Oriente. Sentiamo spesso parlare della necessita di instaurare la democrazia in Medio Oriente; ma si sbaglia pensando che si possa instaurarla in qualche mese. La democrazia in Siria ha bisogno di una lunga iniziazione, essa non nasce naturalmente da una guerra civile o da un attacco esterno e nemmeno dalla vittoria dei ribelli siriani, di cui una buona parte sono salafiti, jihadisti o membri di Al Qaeda. L’esperienza irachena ne è la prova. Si pensava di cambiare tutto in cinque settimane, ma oggi, dopo diversi anni, questo povero paese soffre di un’instabilità terribile che, ogni giorno, costa la vita a numerosi innocenti. Vorrei che la lezione irachena servisse a tutti i politici.
Barack Obama ha affermato di non nutrire “illusioni” sulla difficoltà di arrivare alla pace tra Israele e i Palestinesi. Cosa Lei si attende concretamente dai negoziati in corso?
L’unico percorso verso una soluzione è il dialogo politico. Un dialogo onesto, trasparente, creativo e basato su una piattaforma accettata internazionalmente. Finora i negoziati bilaterali sono falliti. Partendo dalla constatazione che le stesse cause producono gli stessi effetti, si può concludere che se c’è una mancanza di flessibilità i negoziati falliranno e ci sarà un’escalation nella violenza. Vorrei citare un diplomatico americano che in una seduta privata ha dichiarato: “Quando due nemici combattono da più di 80 anni e non riescono a superare i loro problemi, l’unica cosa da farsi è di imporre loro la soluzione.”
Il Capo di Stato americano ha espresso l’opinione che la comunità internazionale non è stata all’altezza di fronte alla tragedia siriana. L’Occidente è oggi in generale uno spettatore impotente di fronte al Medio Oriente?
Sì, ha ragione. Il mondo è stato uno spettatore che oserei dire anche colpevole. Se un paese ha il potere di agire in favore della pace e non lo fa, è allora responsabile di un peccato di omissione. Ci sono anche stati dei complici (guardate l’esempio delle armi in Siria) che hanno reso il conflitto più lungo, più duro e senza vittoria da una parte o dall’altra. L’unica soluzione è di decretare un cessate il fuoco, come ho detto, seguito da negoziati tra le due parti sotto la tutela internazionale. Non procedere in questa direzione significa prolungare il conflitto con conoscenza di causa e con piena responsabilità.
Si sono visti dei tentativi di estremisti che cercano di provocare un conflitto interconfessionale in Medio Oriente (attentati in Iraq, Egitto e Siria…). E’ questa anche la sua analisi? Ritiene che la situazione possa peggiorare e che la radicalizzazione religiosa cresca sempre più a scapito dei cristiani?
E’ vero che c’è una radicalizzazione religiosa in Medio Oriente perché sorgono delle ideologie religiose fondate sull’intolleranza ed i cristiani ne soffrono. D’altra parte i cristiani non devono rivestire i panni di vittime di persecuzioni ed aspettare dal cielo una soluzione già pronta. Non devono restare neutri e chiudersi in un ghetto. Devono, al contrario, impegnarsi nella vita politica del loro paese, soffrire e lottare con gli altri cittadini e fare delle alleanze intelligenti con i musulmani moderati… I copti in Egitto hanno compreso questa necessità di impegnarsi nella vita pubblica, particolarmente durante l’ultimo colpo di stato. Essi sono anche attivi nell’elaborazione la nuova costituzione.