Oggi alle 19.20 e alle 21.20 va in onda la puntata n. 89 di “Mappe. Spunti per comprendere dove siamo”, programma ideato e condotto da Anselmo Grotti con la collaborazione di Ilaria Vanni. Il nuovo appuntamento si intitola “Prendersi cura dell’ambiente”.
Il paesaggio fisico è in stretta relazione con quello mentale. Un paesaggio fisico trascurato, inquinato, disastrato dal perseguimento miope di una logica di puro interesse immediato e di singoli gruppi è certamente immagine di una stortura culturale e antropologica. È importante di conseguenza guardarsi intorno per comprendere come le scelte che ci appaiono ovvie e inevitabili siano spesso il frutto da un lato di incuranza e mancanza di consapevolezza, dall’altro di processi che per il guadagno di pochi danneggiano i molti e l’ambiente in cui viviamo non solo per il presente ma anche per il futuro più o meno remoto.
L’Italia ha un territorio piccolo, fragile, sottoposto a una enorme pressione edificatoria. Certo gli italiano sono molto aumentati, e anche le esigenze abitative si sono fatte giustamente più complesse e dignitose. Ma davvero la soluzione è continuare una cementificazione incontrollata (magari con la scusa di chiamarla “valorizzazione”)? L’Italia ha un patrimonio di “già costruito” enorme. E spesso non di trascurabile valore estetico e ambientale, anche nei casi di onesto e quotidiano artigianato).
L’accoglienza turistica di questi luoghi, l’uso intelligente del territorio e delle sue risorse (boschi, pascoli, orti, agricoltura di montagna) offre un rapporto che sa di cultura, storia, significato al turismo. Quanti scempi e quanti soldi buttati nella edificazione di mostri cementizi? Non si tratta di rifiutare l’intervento dell’uomo sulla natura, in nome di una pretesa “wilderness” che non ha senso. Mi colpisce molto il fatto che proprio un personaggio come Reinhold Messner metta in evidenza l’intreccio tra natura e opere dell’uomo. Messner: chi più di lui ha l’autorità e la competenza per parlare di natura inviolata? Ma occorre distinguere. L’ideologia della wilderness, diffusa anche recentemente dal bel film omonimo, è pericolosa: nel suo fondamentalismo antiumano è il perfetto pendant della negazione economicista del valore intrinseco della natura. Come spesso accade, gli apparenti nemici hanno bisogno l’uno dell’altro per creare adepti e sopravvivere. L’ultima cosa che vogliono è risolvere il problema, che porterebbe alla loro dissoluzione.
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