“Natale sempre ci fa pensare a Betlemme, e Betlemme è in un punto preciso, nella Terra Santa dove è vissuto Gesù. Nella notte di Natale penso soprattutto ai cristiani che vivono lì, a quelli che hanno difficoltà, ai tanti di loro che hanno dovuto lasciare quella terra per vari problemi.” A parlare è Papa Francesco, in un passaggio della lunga intervista rilasciata ad Andrea Tornielli, per l’edizione odierna de La Stampa. “Mai avere paura della tenerezza” è il titolo dell’articolo, che, attraverso il colloquio tra il giornalista e il Pontefice, tratta numerosi temi chiave della Chiesa e del Pontificato di Bergoglio: partendo dal significato del Natale, passando per la fame nel mondo, la sofferenza dei bambini, fino alla riforma della Curia, e allo Ior. Tra gli argomenti trattati, anche il prossimo viaggio del Pontefice in Terra Santa. “Betlemme continua a essere Betlemme” prosegue Papa Francesco. “Dio è venuto in un punto determinato, in una terra determinata, è apparsa lì la tenerezza di Dio, la grazia di Dio. Non possiamo pensare al Natale senza pensare alla Terra Santa. Cinquant’anni fa Paolo VI ha avuto il coraggio di uscire per andare là, e così è cominciata l’epoca dei viaggi papali. Anch’io desidero andarci, per incontrare il mio fratello Bartolomeo, patriarca di Costantinopoli, e con lui commemorare questo cinquantenario rinnovando l’abbraccio tra Papa Montini e Atenagora avvenuto a Gerusalemme nel 1964. Ci stiamo preparando.” La visita in Terra Santa, ormai ufficiale, dovrebbe avvenire in tarda primavera. Prima di Bergoglio, già Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI si sono recati nella culla della cristianità.
L’intervista prosegue sul tema dell’annunciata “conversione del papato” e sul rilancio dell’ecumenismo con i patriarchi ortodossi: “Giovanni Paolo II aveva parlato in modo ancora più esplicito di una forma di esercizio del primato che si apra ad una situazione nuova”, spiega Papa Francesco. “Ma non solo dal punto di vista dei rapporti ecumenici, anche nei rapporti con la Curia e con le Chiese locali. In questi primi nove mesi ho accolto la visita di tanti fratelli ortodossi, Bartolomeo, Hilarion, il teologo Zizioulas, il copto Tawadros: quest’ultimo è un mistico, entrava in cappella, si toglieva le scarpe e andava a pregare. Mi sono sentito loro fratello. Hanno la successione apostolica, li ho ricevuti come fratelli vescovi. È un dolore non poter ancora celebrare l’eucaristia insieme, ma l’amicizia c’è. Credo che la strada sia questa: amicizia, lavoro comune, e pregare per l’unità. Ci siamo benedetti l’un l’altro, un fratello benedice l’altro, un fratello si chiama Pietro e l’altro si chiama Andrea, Marco, Tommaso…».
Per il Pontefice l’unità dei cristiani e l’ecumenismo sono fattori prioritari. “Oggi esiste l’ecumenismo del sangue. In alcuni paesi ammazzano i cristiani perché portano una croce o hanno una Bibbia, e prima di ammazzarli non gli domandano se sono anglicani, luterani, cattolici o ortodossi. Il sangue è mischiato. Per coloro che uccidono, siamo cristiani. Uniti nel sangue, anche se tra noi non riusciamo ancora a fare i passi necessari verso l’unità e forse non è ancora arrivato il tempo. L’unità è una grazia, che si deve chiedere.”
L’intervista integrale a Papa Francesco sul sito de La Stampa