Proseguono le proteste degli immigrati africani che chiedono asilo allo Stato di Israele. Da alcuni giorni circa 10mila persone stanno manifestando pacificamente a Gerusalemme, nei pressi della Knesset, il parlamento israeliano. Domenica 5 gennaio centinaia di bandiere eritree, sudanesi, etiopiche sventolavano in Piazza Rabin a Tel Aviv, mentre migliaia di manifestanti, in inglese, ripetevano in coro lo stesso slogan: “Siamo tutti rifugiati! Sì alla libertà, no alla prigione!”. Le manifestazioni intendono denunciare il rifiuto delle autorità ad esaminare le domande d’asilo, ma anche le recenti decisioni prese dal governo israeliano nelle politiche verso i clandestini. In particolare, una norma del 10 dicembre scorso autorizza il loro internamento, fino ad un anno e senza processo, in un campo di raccolta isolato, nel deserto del Neghev. Se soltanto il 16 dicembre erano in 200 a protestare contro la legge, domenica scorsa si è arrivati a 30 mila persone, secondo le stime della polizia israeliana. È stato il più grande raduno di questo genere mai registrato nel Paese. Oscar Olivier, un congolese che vive in Israele da diciotto anni e membro del Centro dei rifugiati africani, ha dichiarato: “Fino ad ora la gente non osava protestare. Si rischiava d’essere imprigionati senza processo. Ora invece eccoli nelle strade. La sofferenza ha vinto la paura“.
Daoud, originario dell’Eritrea, confessa all’agenzia France Presse il suo risentimento per la situazione: “Noi siamo fuggiti da persecuzioni, dittature, guerre civili, genocidi. Il governo israeliano dovrebbe esaminare attentamente le nostre domande d’asilo e trattarci come esseri umani. Invece, anziché considerarci come rifugiati, ci tratta da criminali.”
Attualmente, si stima che siano tra i 50 mila e i 60 mila gli africani richiedenti asilo giunti illegalmente in Israele. Un flusso che le autorità hanno voluto contenere costruendo, nel 2012, una barriera metallica ultra sofisticata lungo tutta la frontiera con l’Egitto. Proprio da lì passa la via di transito percorsa dalla maggior parte degli africani ormai stabilitisi in territorio israeliano. Persone che ora popolano per lo più i quartieri meridionali di Tel Aviv, dove sono state registrati numerosi episodi di microcriminalità e aggressioni xenofobe negli ultimi anni.
Lo scorso anno il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu si disse “determinato ad espellere le decine di migliaia di migranti clandestini installati nelle città israeliane”. Ma questi ultimi sono protetti dal diritto internazionale, che rende alquanto difficili le espulsioni. Il governo ha dunque dovuto mettere in campo soluzioni alternative, come l’apertura, nel dicembre 2013, del centro di permanenza di Holot, nel sud del Paese. La struttura può contenere 11 mila migranti obbligati a trascorrervi la notte e a ripresentarsi tre volte al giorno per provare che non stanno lavorando illegalmente. È anche contro questo tipo di misure che i manifestanti si sono mobilitati.
Il giornalista americano David Sheen sottolinea il fatto che tra i partecipanti alla protesta di domenica scorsa in Piazza Rabin c’era anche una piccola percentuale di israeliani. Segno che la popolazione non è del tutto insensibile alla sorte dei profughi, malgrado la questione del razzismo in Israele, che molti giornalisti hanno nuovamente messo in luce alla vigilia dell’appuntamento di Tel Aviv.
La protesta di piazza ha segnato l’inizio di tre giorni di sciopero per i clandestini africani che lavorano soprattutto nel settore alberghiero e della ristorazione. Altre manifestazioni sono previste davanti agli uffici dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Acnur) e alla sede di varie ambasciate a Tel Aviv.
Il 7 gennaio un portavoce del ministero degli Esteri israeliano ha puntualizzato la posizione del governo, spiegando che dal 2006 ad oggi sono 64 mila gli individui che hanno illegalmente varcato la frontiera tra Egitto e Israele. Di questi, 53.600 persone sono ancora entro i confini nazionali. Secondo la fonte governativa, le autorità competenti esaminano le domande d’asilo con attenzione, in coordinamento con l’Acnur e in ottemperanza agli obblighi internazionali. La percentuale di domande accolte è comunque bassissima.
Fonte: Terrasanta.net
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