Un acceso dibattito ideologico tenuto ieri alla Knesset, il parlamento israeliano, su iniziativa di Moshe Feiglin, deputato del Likud, determinato ad ottenere il libero accesso degli ebrei alla Spianata delle Moschee, ha messo in allarme l’intero mondo arabo, secondo cui è adesso in pericolo lo status quo mantenuto da Israele in quel Luogo sacro dal 1967, dopo la Guerra dei sei giorni.
Secondo il deputato Feiglin, il Monte del Tempio – questo è il nome ebraico della Spianata – rappresenta la “ragione d’essere” profonda dello Stato ebraico. “Senza di esso, non abbiamo alcuna giustificazione di essere qua, siamo alla stregua di crociati”, ha detto. Per due ore deputati nazionalisti e laici hanno contrapposto le proprie concezioni dello Stato d’Israele, mentre i deputati arabi (un decimo della Knesset) hanno boicottato il dibattito, in segno di protesta.
Nel 1967 l’allora ministro della Difesa Moshe Dayan (esponente del sionismo laico e laburista) aveva volentieri ceduto la gestione della contesa Spianata al Qaqf (l’ente giordano per la protezione dei beni islamici) osservando con distacco: “Che bisogno abbiamo di questa specie di Vaticano?”.
Feiglin ha trascinato la Knesset intera a misurarsi di nuovo con quella domanda, proponendo la risposta opposta. Due volte, in quella Spianata, gli ebrei hanno eretto un Tempio: il primo fu distrutto dai babilonesi, il secondo dai romani. “E’ inconcepibile – ha concluso – che in quell’area ci sia impedito di pregare, perfino di portare la kippà”, il copricapo ebraico.
Diversi deputati nazionalisti hanno dunque chiesto al governo israeliano di introdurre nella Spianata nuove procedure, simili a quelle in vigore nella Tomba dei Patriarchi di Hebron (Cisgiordania): ossia di consentirvi le preghiere oltre che ai musulmani anche – da adesso – agli ebrei. Questi interventi hanno destato reazioni molto allarmate fra i banchi della sinistra. Lo status della Spianata, è stato risposto, va deciso mediante negoziati di pace, non con iniziative “provocatorie”.
“Quello è come un barile di esplosivo! – ha avvertito il laburista Nahman Shay. – Dobbiamo stare ben attenti a non scuotere l’intero mondo islamico”. E anche deputati ortodossi gli hanno dato ragione: perchè quella zona di Gerusalemme (dove secondo la tradizione avvenne il sacrificio di Isacco) è “talmente sacra” agli ebrei, hanno detto, che l’ingresso deve restare loro vietato. Il dibattito si è concluso senza decisioni operative. La presidente della Commissione Affari interi (Miri Regev, sempre del Likud) ha tuttavia preannunciato che tornerà a discutere l’argomento, nell’intento di assicurare agli ebrei libero accesso alla Spianata, mentre adesso è limitato a tre ore al giorno. Parole che rischiano di accendere nuove tensioni a Gerusalemme Est: in particolar modo il mese prossimo, quando si celebrerà la Pasqua ebraica.
Nella mattinata di martedì 25 febbraio, sulla Spianata si erano verificati scontri fra fedeli islamici, armati di sassi e di oggetti contundenti, e reparti della polizia israeliana, che hanno fatto ricorso a manganelli e a granate assordanti. Decine di persone sono rimaste contuse. Messaggi di apprensione sono giunti dalla Giordania e dall’Egitto, due Paesi che hanno firmato accordi di pace con Israele. Hamas, il movimento islamista che governa la Striscia di Gaza, ha invocato una riunione urgente della Lega araba. Gli Hezbollah, dal Libano, hanno incitato i palestinesi a respingere “gli attacchi israeliani”. E la Fondazione islamica al-Aqsa ha messo in guardia dal “pericolo che gli ebrei cerchino di assumere il controllo sulla Moschea al-Aqsa”.
Ad opporsi fermamente alla questione, anche la Giordania: la maggioranza dei parlamentari giordani ha votato a favore di una mozione che chiede di espellere dal Paese l’ambasciatore israeliano e richiamare in Patria l’ambasciatore del Regno Hascemita in Israele. Il voto, avvenuto ieri mercoledì 26 febbraio, rappresenta una reazione forte dei rappresentanti politici giordani davanti al disegno di legge israeliano mirante a revocare lo status di custode dei Luoghi Santi musulmani a Gerusalemme riconosciuto alla Giordania e sancito anche dal trattato di pace sottoscritto tra Stato ebraico e Regno Hascemita nel 1994.
“Il voto dei parlamentari giordani – spiega all’agenzia Fides l’arcivescovo Maroun Lahham, Vicario patriarcale per la Giordania del Patriarcato latino di Gerusalemme – non mi sorprende. Anche se i due Paesi hanno firmato un trattato di pace, quello è stato un accordo tra i leader politici, e non tra i popoli. Il voto del parlamento giordano è un gesto dimostrativo, per far capire a Israele che c’è una linea rossa, che non può essere violata. Del resto – aggiunge l’arcivescovo Lahham – la proposta presentata alla Knesset ha solo l’effetto di aumentare la tensione tra Israele e i musulmani che vivono nei Paesi circostanti. Come accade con le incursioni provocatorie di estremisti israeliani sulla spianata delle Moschee, con la protezione dell’esercito. Gli israeliani conoscono la sensibilità di musulmani e cristiani alla questione dei Luoghi Santi. Adesso che è in corso un processo di pace, mi chiedo che senso hanno atti provocatori come questi. Piuttosto, occorre compiere atti di vera riconciliazione”.
Solidarietà è arrivata anche dalle Chiese cristiane di Gerusalemme: questa mattina una delegazione si è recata sulla spianata della Moschea per protestare contro il progetto del Knesset. Presenti il Vicario patriarcale di Gerusalemme William Shomali e Munib Younan, capo della Chiesa luterana in Terra Santa, insieme ad alcuni sacerdoti e seminaristi. Essi hanno espresso il loro rifiuto di affrontare questo potenziale cambiamento dello Status Quo. La delegazione è stata accolta dallo sceicco Azzam Al-Khatib, direttore del Waqf di Gerusalemme, nonché dallo sceicco Abdel Azim Salhab, capo del Consiglio superiore dei Waqf di Gerusalemme. I leader cristiani ritengono che una tale decisione, se adottata, minaccerebbe di porre fine al processo di pace e alle trattative in corso.