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Armeni: “Siria in balia di forze straniere. Lasciatela in pace”

08/03/2014 / Redazione / Blog, Terra Santa
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In Italia per partecipare ad un incontro con i vescovi amici dei Focolarini, dopo l’udienza con Papa Francesco, il vescovo armeno di Damasco, monsignor Joseph Arnaouti, porge la sua testimonianza su quanto accade in Siria e dice basta alle ingerenze straniere: “Sono ben 83 i Paesi che inviano terroristi a combattere. Prima la popolazione conviveva pacificamente, oggi non più”. L’articolo di Daniele Rocchi per l’agenzia Sir.

Aleppo, Damasco, Homs, Hama, Al-Qusayr, Dar’a, Latakia, Idlib, Raqqah, e tanti altri villaggi e città: l’elenco è lungo e lo snocciola come un rosario, recitato in un misto di speranza e di dolore per i tanti morti che in questi luoghi hanno perso la vita, per coloro che hanno scelto di fuggire e che ora sono sfollati o rifugiati nei Paesi confinanti. Monsignor Joseph Arnaouti è il vescovo armeno cattolico di Damasco – sono circa 60mila gli armeni in Siria – e parla con fervore della sua terra violentata da tre anni di conflitto: “Abitiamo una terra dove la rovina non è solo materiale, ma anche umana e sociale. La Siria è in balia di potenze straniere: sono ben 83 i Paesi che vi inviano terroristi a combattere. Prima la popolazione conviveva pacificamente, oggi non più. Subisce violenze e morte. Perché? Perché questi Paesi li mandano qui da noi? Perché non ci lasciano in pace? Tutto questo è contro l’umanità, contro tutte le religioni, contro la civiltà”.
Il grido di aiuto lanciato dal vescovo sembra restare inascoltato, come dimostrano i fatti sul terreno. “In Siria – racconta – siamo in guerra da tre anni, la popolazione vive nella paura. Finora abbiamo avuto quasi 150mila morti; il nostro Paese è abitato da circa 23 milioni di persone, un terzo di queste sono sfollati e rifugiati in Paesi limitrofi come il Libano, la Giordania, la Turchia e l’Iraq. E mentre si combatte, l’economia è in gravissima flessione, la nostra moneta è svalutata, il lavoro manca. Abitiamo una terra bruciata, messa a ferro e fuoco da gente che viene da fuori”. E lo spiega con chiarezza: “Questa che si sta combattendo non è una guerra civile. Tutto è cominciato tre anni fa con delle proteste pacifiche, con la gente che chiedeva riforme. Manifestazioni rimaste poi schiacciate dal peso di pressioni e di interessi di Paesi come Russia, Ue, Usa, Paesi del Golfo (Qatar, Arabia Saudita, Emirati arabi uniti, Kuwait), Iran”. Una guerra che sta destabilizzando, come se ce ne fosse ulteriormente bisogno, tutto il Medio Oriente, a partire dal Libano, dove vive al momento oltre un milione di profughi siriani, dalla Giordania e dall’Iraq. Sullo sfondo, denuncia il vescovo, si agitano “tanti interessi politici, ma anche confessionali – come testimonia la lotta tra sciiti e sunniti. L’80% dei siriani è sunnita, il 10% alauita e sciita e l’altro 10% cristiano. Poi ci sono le risorse energetiche, il gas, il petrolio, la posizione strategica del Paese che fa gola a tanti. E adesso, dopo tanta distruzione, si comincia a parlare di ricostruzione. Si stima in almeno 100 miliardi di dollari la somma per ricostruire il Paese. Chi ricostruirà la Siria? Con quali costi per il popolo”. Domande destinate, almeno per adesso, a restare senza risposta. Prima serve far cessare il rumore delle armi.
E allora, incalza mons. Arnouti, “chi ha seminato questa guerra ora trovi una soluzione che non sia militare, ma pacifica e di dialogo come auspicato in più interventi da Papa Francesco. È stato lui a mobilitare il mondo cristiano invitandolo al digiuno e alla preghiera per la Siria. La Santa Sede – sottolinea il vescovo armeno – ha dimostrato di avere una diplomazia equilibrata”. Non si può dire lo stesso di quelle dei Paesi stranieri, “Ue in testa, che non sanno cosa veramente accade in Siria e che dovrebbero cambiare la loro politica. Regime e opposizione devono parlarsi, ma le potenze straniere smettano una volta per tutte d’inviare armi e miliziani ai due contendenti. I colloqui di pace di Ginevra 2 – ammette il presule – non hanno dato i risultati sperati. Le posizioni sono ancora troppo lontane per pensare a un compromesso. Ma regime e opposizione non dimentichino che la gente siriana ha bisogno di pace e chiede, per questo, sicurezza e stabilità. Come uomini di religione siamo chiamati a infondere speranza. L’avvenire resta incerto, ma confido in tanta gente di buona volontà, dentro e fuori la Siria, che vuole dialogare per cercare di ricostruire il Paese. A tutti i Paesi chiedo che la Siria venga lasciata in pace. Ricostruire sarà difficile, ma dobbiamo sperare e credere che il nostro Paese saprà rinascere”.
“Sarò presente alla cerimonia ecumenica che Papa Francesco terrà a Gerusalemme, presso la basilica del Santo Sepolcro, durante il suo prossimo viaggio in Terra Santa a maggio – conclude mons. Arnaouti – credo fortemente che da quella preghiera verranno per la Siria, per il Medio Oriente e non solo, e penso adesso all’Ucraina, tanti benefici, grande forza e speranza per un futuro di pace”.
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