Da tutti gli angoli del pianeta arriva forte e chiaro il grido “Bring back our girls“, riportate indietro le nostre ragazze: è l’appello per la liberazione di circa duecento giovanissime ragazze nigeriane, sequestrate dai terroristi di Boko Haram.
“La negazione di ogni rispetto per la vita e per la dignità delle persone, anche le più innocenti, vulnerabili e indifese – ha commentato padre Federico Lombardi, direttore della Sala stampa vaticana – richiede la condanna più ferma e suscita la compassione più accorata per le vittime, e l’orrore per le sofferenze fisiche e spirituali e le umiliazioni incredibili che vengono loro inflitte”. E prosegue: “Ci uniamo ai moltissimi appelli per la loro liberazione e la loro restituzione a una condizione normale di vita”.

Alessia, una dei partecipanti alla campagna di “Make Peace”
Ad unirsi a tali appelli c’è anche una fetta di Arezzo: sono i ragazzi di “Make Peace – Strategie di pace“, realtà che opera negli ambienti adolescenziali per contrastare i fenomeni di bullismo, violenza e discriminazione. I giovani “costruttori di pace”, guidati dal formatore Fabio Pasquale, hanno scelto di metterci la faccia: sfruttando il tam tam dei social network, hanno raccolto una galleria di autoritratti in bianco e nero. Tutti tengono tra le mani un cartello con la scritta #BringBackOurGirls, l’hashtag lanciato su Facebook e Twitter per sensibilizzare l’opinione pubblica sul dramma delle giovani nigeriane.
La mobilitazione si è estesa in tutto il mondo, coinvolgendo personaggi del calibro di Michelle Obama e di Malala Yousafzai, la giovane attivista che ha rischiato la vita per difendere il diritto allo studio dei ragazzi pakistani.
Da dieci giorni è attiva su Facebook la pagina ufficiale della campagna, che conta già quasi 90mila iscritti. Nella speranza che, una volta tanto, la voce di tanti possa fare la differenza.