Sui loro documenti c’era un cognome italiano, Scapelli. Per due anni e mezzo vissero in un’abitazione del centro di Anghiari, poi in un luogo più sicuro e isolato nei pressi di Verrazzano. In realtà un Paese intero sapeva che quella non era la loro vera identità; sapeva che quella famiglia arrivata da lontano, se mai fosse stata identificata dai tedeschi, avrebbe fatto una brutta fine e con essa anche chi l’aveva protetta. Nessuno però si tirò indietro per aiutare quelli che venivano indicati semplicemente come i “polacchi”. C’era chi come l’impiegato comunale Varo Paci falsificò le tessere annonarie per poter dare loro da mangiare, o chi come Giuseppe Cangi li aiutò nel trasferimento a Verrazzano, o ancora chi come il partigiano Altero Scimia, nome di battaglia “tigre”, andava ogni giorno a trovarli per vedere di cosa avevano bisogno.
Oggi, a 70 anni di distanza, è stato reso omaggio a chi accolse quella famiglia di ebrei nella propria abitazione. I nomi dei coniugi Giocondo e Annina Marconi sono stati aggiunti all’elenco dei “Giusti tra le nazioni”, conservati dallo Yad Vashem il memoriale dell’Olocausto a Gerusalemme.
Josef Saghi, che allora era poco più che bambino, deve la propria vita a quelle persone. Per la seconda volta è tornato a visitare quei luoghi dove si nascose con la sua famiglia.
“Siamo fuggiti dalla Germania nel 1940. Dopo due-tre mesi a Genova siamo stati internati: mia madre, sorella ed io siamo stati trasferiti a Potenza, mio padre in Campania”, racconta Josef.
“Mio padre era malato, per questo motivo ci hanno permesso di rincontrarci ad Arezzo. Ogni giorno, dovevamo andare in Questura. Era vietato lasciare la Città, vietato anche lavorare. Io e mia sorella, in quel periodo abbiamo frequentato l’asilo dell’Istituto Aliotti”.
Quando i tedeschi si avvicinano alla Città, inizia la fuga. La famiglia Saghi sale di notte sul primo treno disponibile. Poi, scendono e camminano un’intera giornata. Non sanno ancora che il destino li ha condotti ad Anghiari.
“Entrammo nella trattoria in fondo a Piazza Baldaccio (oggi c’e’ un altro negozio). Dopo poco tempo sono arrivati due vigili comunali ed hanno arrestato mio padre. Dopo un’ora son tornati. Mio padre aveva ricevuto delle carte d’identità false”
Da quel momento la famiglia Saghi diventa Scapelli, Josep invece sarà chiamato Giuseppe. Lo strano accento viene giustificato con fantomatiche origini svizzere.
“Così il babbo poteva ricevere le tessere per il cibo razionato. Fummo accompagnati alla casa dei Marconi. Tutta la nostra famiglia viveva insieme al terzo piano”.
Qui, gli “Scapelli” rimarranno per quasi due anni. Poi, mentre i tedeschi stanno per entrare in paese si decide di trasferire la famiglia in un posto più sicuro, a Verrazzano, dove resteranno per un altro anno e mezzo.
“Siamo stati ospitati nella casa del prete che viveva a Toppole ed era disabitata. Quasi ogni giorno ricevevamo la visita di Altero Scimia, mentre i contadini ci aiutarono con prodotti alimentari”.
Il fronte passò non molto lontano dal loro rifugio, ma la famiglia Saghi riuscì a sopravvivere a quei terribili mesi. Un paese intero li aveva tenuti nascosti.