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Sansepolcro, al Cinema “Nuova Aurora” un ciclo sull’emigrazione

03/10/2014 / Redazione / Notizie

Della riapertura del Cinema “Nuova Aurora” abbiamo parlato nelle scorse settimane. Sansepolcro ha ritrovato un punto di riferimento per la comunità e la vita cittadina. Una piccola grande scommessa realizzata grazie all’impegno dell’Associazione cattolica esercenti cinema (Acec). La riapertura di questo spazio può essere un’occasione per rilanciare iniziative culturali di valore, in Valtiberina.

Non a caso, tra le novità proposte dalla “sala di comunità” biturgense c’è quella di una serata, nello specifico il giovedì, dedicata alla proiezione di pellicole che restano solitamente fuori dal circuito della grande distribuzione e che sono legate a temi di attualità e di valore sociale.
Si parte con un ciclo dedicato alle storie di emigrazione, dal titolo “Terre senza promesse”.
Dal 9 al 30 ottobre, alle 21.15, saranno proposte tre pellicole che avranno come filo conduttore il tema dell’accoglienza e della solidarietà con un’attività di sensibilizzazione ed educazione ai temi dell’intercultura e del dialogo interreligioso.
L’iniziativa è promossa congiuntamente dall’ACEC, dal Servizio Nazionale per il Progetto Culturale e dal Servizio per la Promozione del Sostegno Economico alla Chiesa Italiana della CEI e che trova quest’anno il patrocinio anche della Fondazione Migrantes e del Centro Astalli.
Il progetto coinvolge 50 Sale della Comunità.

Si parte giovedì 9 ottobre con “La gabbia dorata” di Diego Quemada-Diez.
Se il cinema è una finestra aperta sul mondo, questo film ci mostra qualcosa da cui forse vorremmo distogliere gli occhi, ma che sarebbe dovere di tutti conoscere. È cinema della realtà, cinema autentico, girato tra persone vere, dentro situazioni concretissime, dove la macchina da presa ritrova una delle sue funzioni primarie: mostrare qualcosa che non si conosce, alzando il sipario su un mondo ignorato.
Quello al centro del film, opera prima di un ex assistente alla fotografia che ha lavorato per Ken Loach e Isabel Coixet e come operatore alla macchina per Alejandro Gonzáles Iñárritu, è il mondo che scoprono tre adolescenti guatemaltechi decisi a lasciare la povertà in cui vivono per cercare lavoro negli Stati Uniti. Un viaggio che li costringe ad attraversare il Messico e che si rivelerà ben più drammatico di quanto potessero immaginare.

Giovedì 23 ottobre, invece, sarà la volta del film “La mia classe” di Daniele Gaglianone.
Valerio Mastandrea è un professore d’Italiano per stranieri. La classe è composta di attori non professionisti che intrecciano le loro storie, vere o presunte, sullo sfondo delle lezioni di lingua e che si trasformano costantemente in buoni spunti per riflettere sulla condizione del migrante. Senza cadere nel cliché, il film affronta tematiche in parte già note che ruotano intorno al tema dell’immigrazione (l’abbandono della propria terra, dei propri cari, le difficoltà d’integrazione, il lavoro, la legge, il sentirsi escluso), ma cercando di portarle sul piano dell’individuo e non delle statistiche, cadendo alcune volte anche nel patetismo, ma senza eccedere. La forma compositiva della pellicola, che ricorda tanto la tecnica dello straniamento brechtiano di continua entrata e uscita dalla finzione, permette uno sguardo sufficientemente distaccato dello spettatore a cui è concesso di non immedesimarsi, ma di porsi alla giusta distanza per poter riflettere su quanto proposto e farsene un’opinione propria. Applauditi in sala, dopo la proiezione, non solo l’idea originale di realizzazione, il regista e Valerio Mastandrea, ma anche il gruppo di attori/non attori di molteplici provenienze che si sono saputi mettere alla prova, esponendosi in prima persona, in un prodotto cinematografico di tale portata e complessità.
Giovedì 30 ottobre, sarà la volta di “Marina” del regista Stijn Conix.
1948, in un piccolo paese della Calabria. Il padre Salvatore parte per il Belgio, costretto a lasciare la moglie Ida e i due figli per andare a lavorare in una miniera di carbone in Belgio. Passa un anno e Salvatore, spinto dalla nostalgia, chiede alla famiglia di raggiungerlo. Quando arriva nella cittadina mineraria di Waterschei, Rocco ha dieci anni e affronta subito grandi delusioni, con la casa dove vivono, con la gente del posto, con il clima. Quando è triste, Rocco si accorge che suonare lo fa stare meglio e cerca di coltivare quella passione. Il suo sogno lo fa entrare in un contrasto sempre più aspro con il padre. Tanti equivoci e incomprensioni devono passare prima che tutto si chiarisca, e che Rocco, dall’America, gli dedichi un affettuoso saluto. Rocco Granata è ormai noto a livello internazionale, e la canzone «Marina» lo ha fatto conoscere in tutto il mondo.

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