La tensione era ormai arrivata ai limiti, soprattutto a seguito della discussione del disegno di legge sulla ebraicità dello Stato di Israele. Adesso è ufficiale: il premier Benjamin Netanyahu ha licenziato i due “ministri ribelli”, Yair Lapid, alle Finanze, e Tzipi Livni, ministro della Giustizia, entrambi centristi e rispettivamente leader dei partiti laici Yesh Atid – vero vincitore delle scorse elezioni – e Hatnua. I due membri della coalizione di governo saranno sostituiti, ha fatto sapere il primo ministro e leader del Likud, che porta così il Paese alla crisi di governo e alle elezioni anticipate. La Knesset, il parlamento israeliano, ha fissato l’appuntamento alle urne per il prossimo 17 marzo, come ha appena affermato il portavoce Eran Sidis, precisando che questa data sarà riportata nel progetto di legge sulla dissoluzione del Parlamento il cui esame prenderà il via oggi.
Proprio oggi era prevista la discussione alla Knesset sul disegno di legge sostenuto da Netanyahu per definire Israele come “Stato del popolo ebraico”, uno dei principali motivi di dissenso fra il premier e Lapid. Ma nonostante la legislazione israeliana preveda che il Parlamento possa continuare a votare le leggi anche dopo l’adozione del testo per la sua dissoluzione, all’attuale stato delle cose il controverso progetto di legge non ha alcuna chance di essere approvato prima delle prossime elezioni.
L’obiettivo di Netanyahu, con il voto anticipato, è quello di sostituire i centristi laici con i leader dei partiti della destra ultraortodossa. Il premier ha accusato i due ministri centristi di aver “criticato aspramente il governo in maniera intollerabile”, soprattutto in merito alla netta opposizione alla proposta di legge sullo Stato Ebraico. Il culmine della tensione è stato raggiunto questa notte, in un incontro in extremis tra Netanyahu e Lapid, finito male.
Come riferisce il corrispondente de La Stampa Maurizio Molinari, l’ormai ex ministro delle Finanze ha accusato il primo ministro di “aver già siglato accordi sottobanco” con il partito di destra di Naftali Bennett e con i partiti religiosi, per costituire una coalizione “che porterà il Paese a destra”. L’altro ministro esautorato, la centrista Tzipi Livni – rappresentante del governo israeliano negli ultimi negoziati di pace con la Palestina – ha detto che le elezioni anticipate serviranno a rimpiazzare un governo di “estremismo, volontà di provocazione e paranoia”. Un governo, ha detto ai media l’ex ministro della giustizia, che non sa combattere il terrorismo sostenendo al tempo stesso “sionismo e libertà”.
Secondo gli ultimi sondaggi, dalle urne non emergerebbe nessuna coalizione forte: quella di destra, guidata dal Likud di Netanyahu, otterrebbe 48 seggi sui 120 totali in parlamento, a fronte dei 61 minimi per la formazione del governo.
Nel quadro di crisi politica israeliana è arrivata ieri la notizia dell’approvazione, da parte del Parlamento francese, della mozione che chiede al Governo di riconoscere lo Stato di Palestina. Con 339 voti a favore, 151 contrari e 16 astenuti, l’atto non vincola in alcun modo il premier Manuel Valls e i suoi ministri: si tratta di un gesto più che altro simbolico, che si inserisce tuttavia nella scia di Svezia, Gran Bretagna e Spagna, andando ad allargare lo spettro di un’Europa sempre più favorevole al riconoscimento di uno Stato palestinese a fianco di quello israeliano. Come nei casi precedenti, la presa di posizione della Francia ha ricevuto la dura condanna da parte di Tel Aviv: il ministro degli Esteri israeliano, Avigdor Lieberman, ha dichiarato che il voto “allontanerà la possibilità di raggiungere un accordo di pace tra Israele e palestinesi”. “Gratitudine” arriva invece dai vertici palestinesi, attraverso una nota di Hanan Ashrawi, un dirigente dell’Olp, che ha rivolto un appello al governo francese perchè traduca in atto il voto del Parlamento.